Santena – 12 febbraio 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 12 al 18 febbraio 2012 tratte dalla liturgia del giorno con commento alle letture domenicali.
Domenica 12 febbraio 2012
Il lebbroso andrà gridando: Impuro!
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».
Lv 13,1-2. 45-46
Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
1 Cor 10,31-11,1
Se vuoi, puoi purificarmi!
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Mc 1,40-45
Il lebbroso rappresenta la persona emarginata
La prima lettura presenta la condizione del lebbroso secondo la Bibbia e il vangelo narra l’incontro di Gesù con un lebbroso. Il lebbroso rappresenta la persona emarginata per eccellenza: colpito da una malattia sentita non solo come ripugnante, ma anche come dovuta a un castigo divino per peccati commessi, il lebbroso vive la condizione più infamante e disperata in Israele. Egli è un morto vivente, a cui sono interdette le relazioni famigliari e sociali, affettive ed erotiche, politiche e religiose. Egli è “come uno a cui suo padre ha sputato in faccia” (Nm 12,14). Alla sofferenza fisica si aggiunge la sofferenza morale e spirituale per l’emarginazione sociale, per l’allontanamento dalla famiglia perché la sua presenza è portatrice di possibile contagio, per il suo essere impuro e considerato peccatore. Dunque, egli è vittima e anche colpevole. Questo lo sguardo che gli altri portano su di lui e che egli stesso arriva ad assumere su di sé: egli stesso grida la sua impurità affinché chi lo sente possa evitarlo (Lv 13,45-46). La sua identità è espropriata dalla sua malattia: egli è “l’immondo”. Gesù accetta di incontrare colui che tutti evitavano, mostrando così che l’impurità e la sporcizia più grandi sono quelle di chi rifiuta di sporcarsi le mani con gli altri. Gesù tocca l’emarginato narrando in modo tattile la sua vicinanza e superando il tabù sacrale. Che uno lo abbia toccato, significa che lui stesso può riprendere contatto con sé, che il suo isolamento non è senza speranza. Le misure di autodifesa della società sono vinte grazie alla compassione, che è il rifiuto radicale dell’indifferenza al male. La compassione si rifiuta di abbandonare l’altro alla solitudine della sua sofferenza. “Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro… Non è la molteplicità umana che crea la socialità, ma è questa relazione strana che inizia nel dolore, nel mio dolore in cui faccio appello all’altro, e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro che non mi è indifferente. È la compassione… Soffrire non ha senso, … ma la sofferenza per ridurre la sofferenza dell’altro è la sola giustificazione della sofferenza, è la mia più grande dignità… La compassione, cioè, etimologicamente, soffrire con l’altro, ha un senso etico. È la cosa che ha più senso nell’ordine del mondo” (Emmanuel Lévinas). E Gesù lo guarisce. La guarigione trova anzitutto nel malato il primo e più potente alleato. Il lebbroso trova lo slancio per andare oltre le barriere innalzate dalla società; non si chiude nella autocommiserazione, ma si slancia verso colui che egli crede che possa guarirlo. “Se vuoi, tu puoi”. La guarigione inizia quando so di poter contare su un “tu” che mi accoglie e vuole anche lui il mio bene. La guarigione, prima ancora di essere sparizione di sintomi, è ritrovamento di relazione, di preziosità agli occhi di un altro. Ma la guarigione che Gesù opera ha un prezzo: guarito il lebbroso, ecco che Gesù non poteva più entrare pubblicamente nei villaggi, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti (cf. Mc 1,45). Ovvero, Gesù si trova nella situazione che era prima del lebbroso. Gesù guarisce ma al prezzo di una perdita, dell’assunzione della situazione dell’altro. Gesù prende su di sé la sofferenza dell’altro e appare come il Servo sofferente che ha assunto e portato le nostre infermità. Il testo latino di Is 53,4 parla del Servo come di un lebbroso: Nos putavimus eum quasi leprosum (“Noi lo considerammo come un lebbroso”). Il testo si fa rivelativo. La miseria del lebbroso diviene la miseria del Crocifisso disprezzato e reietto dagli uomini: la guarigione va compresa alla luce dell’impotenza della croce, dove l’unico senza-peccato occupa il posto dei peccatori, di coloro che sono nella vergogna e nell’umiliazione. La potenza della guarigione si manifesta al prezzo di un impoverimento e di un indebolimento di Gesù Cristo. Che nella croce troverà la sua massima epifania.
Comunità di Bose
La volontà di Dio è chiarissima: lottare contro ogni genere di male
Il brano evangelico si apre con una notazione asciutta e assolutamente singolare per quel tempo: “Venne da lui un lebbroso”. Era davvero strano che un lebbroso osasse avvicinarsi a qualcuno, visto che avevano l’obbligo di stare lontani dalla gente. Il libro del Levitico era categorico: “Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento” (13,45-46). L’esclusione dalla convivenza con gli altri rendeva questa malattia ancor più terribile di quel che già appariva. I rabbini giungevano a considerare i lebbrosi come dei morti in vita e ritenevano la loro guarigione più improbabile della stessa resurrezione. Ecco perché appare strano che un lebbroso osi avvicinarsi a Gesù superando un’abissale distanza garantita dalla legge. Ma da chi altro poteva andare? Tutti, protetti dalle disposizioni legali oltre che dalla paura del contagio, si tenevano ben lontani dai malati di lebbra. L’unico che non si comportava così era Gesù. I lebbrosi l’avevano capito e andavano da lui. Quanti malati di “lebbra” ci sono anche oggi, vicino o lontano da noi! Non tanto i colpiti dalla lebbra vera e propria, peraltro facilmente curabile, quanto coloro che vedono la propria vita segnata irrimediabilmente dalla malattia. E ancora oggi siamo in molti, in troppi, a fuggire da loro per paura di essere contagiati, oppure, come qualcuno dice, per non essere rattristati alla loro vista. Quei lebbrosi, contrariamente a quel che normalmente accadeva, quando venivano a sapere che stava per passare Gesù, superavano barriere di paura e di diffidenza e accorrevano da lui. Il giovane profeta di Nazareth creava un clima nuovo attorno a sé, una atmosfera piena di compassione e di misericordia che attraeva malati, peccatori, poveri. Quel lebbroso, finalmente e chissà con quanta fatica, giunse accanto a Gesù e gli si gettò ai piedi. Non usò molte parole, non si mise a spiegare la sua malattia, disse semplicemente ma con fede: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. Il lebbroso non dubita che Gesù possa sanarlo; non sa però se vuole farlo. Del resto cosa poteva sapere un povero lebbroso della volontà di quel giovane profeta? Semmai, la sua sfiducia negli altri era confermata dalla diffidenza che tutti avevano verso di lui, lebbroso e immondo. Una cosa è certa in questa pagina evangelica: la disperazione di quel lebbroso, davanti a quel profeta buono, si trasforma in fede. E Gesù, il compassionevole, non poteva non ascoltarlo: non ebbe paura del contagio, stese la mano e lo toccò. E gli comunicò l’energia della vita. Quel lebbroso si trovò ravvivato come una pianta appassita che subito rifiorisce. La scena evangelica spinge tutti noi ad incontrare e ascoltare, a toccare e sentire il grande bisogno di salvezza che hanno i milioni di “lebbrosi” di oggi. Gesù, con la sua risposta, ci mostra qual è la sua volontà sulla lebbra e sul male, qualunque esso sia: “Lo voglio, sii purificato!”. Sì, la volontà di Dio è chiarissima: lottare contro ogni genere di male. Siamo davvero lontani da quella convinzione piuttosto diffusa che attribuisce a Dio la decisione di distribuire il male agli uomini secondo il loro peccato. Nulla è più estraneo al Vangelo. Eppure è una convinzione fortemente radicata anche tra i cristiani. Invece è facile che non comprendiamo l’ordine di Gesù al lebbroso: “Guarda di non dire niente a nessuno…”. È un comando che appare strano, e forse lo è davvero. Certo è estraneo, se non contrario, alle nostre abitudini e alla nostra cultura “televisiva”. Il Vangelo sembra mostrarci un silenzio bello, ricco, espressivo che Gesù vuole conservare. Si potrebbe interpretare anche in questa linea il cosiddetto “segreto messianico”, tanto caro all’evangelista Marco. Una sottolineatura, tuttavia, va fatta: Gesù non cerca la sua gloria o il rafforzamento della sua fama. Questo desiderio di silenzio è legato al delicato segreto di un’amicizia che si instaura tra il Signore e quell’uomo, tra il Signore e chiunque si affida a lui. Il miracolo – così si potrebbe interpretare il silenzio imposto da Gesù – prima che segno apologetico della sua potenza, che pure è necessario notare, è soprattutto una risposta amica, affettuosa, compassionevole, verso chi è malato ed escluso. È come dire che l’amore di Dio per me, per te, per ogni uomo, viene prima di ogni altra cosa. Forse proprio perché toccato da questo amore assolutamente unico e inimmaginabile, fu impossibile a quell’uomo tacere. E allora dobbiamo augurarci che sia impossibile anche per noi il tacere. Quel lebbroso non obbedì e divulgò il fatto al punto che Gesù non poteva più entrare nelle città a motivo del gran numero di persone che lo cercavano. Gesù, che non desiderava il piacere degli uomini ma quello del Padre suo, si ritirava in luoghi diversi. La gente tuttavia non lo perdeva di vista e continuava ad andargli dietro. Oggi, forse ancor più di ieri, abbiamo bisogno di un “uomo” che cammini in mezzo a noi come Gesù sapeva fare. Ma non è questa la vocazione stessa della Chiesa e di ogni credente anche all’inizio di questo nuovo secolo?
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 13 febbraio 2012
Considerate perfetta letizia quando subite ogni sorta di prove
Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella diaspora, salute. Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla. Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni.
Il fratello di umile condizione sia fiero di essere innalzato, il ricco, invece, di essere abbassato, perché come fiore d’erba passerà. Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l’erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco nelle sue imprese appassirà.
Gc 1,1-11
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Martedì 14 febbraio 2012
Andate: vi mando come agnelli in mezzo a lupi
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».
Lc 10,1-9
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Mercoledì 15 febbraio 2012
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola
Lo sapete, fratelli miei carissimi: ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Infatti l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò liberatevi da ogni impurità e da ogni eccesso di malizia, accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla. Se qualcuno ritiene di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.
Gc 1,19-27
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Giovedì 16 febbraio 2012
La vostra fede sia immune da favoritismi personali
Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono loro che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi?
Certo, se adempite quella che, secondo la Scrittura, è la legge regale: «Amerai il prossimo tuo come te stesso», fate bene. Ma se fate favoritismi personali, commettete un peccato e siete accusati dalla Legge come trasgressori.
Gc 2, 1-9
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Venerdì 17 febbraio 2012
A che serve avere fede, ma non le opere?
A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?
Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le sue opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi: la fede agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta. E si compì la Scrittura che dice: «Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia», ed egli fu chiamato amico di Dio. Vedete: l’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede. Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
Gc 2,14-24.26
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso
In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi». Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».
Mc 8,34-9,1
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Sabato 18 febbraio 2012
Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione
Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo: tutti infatti pecchiamo in molte cose. Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna. Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall’uomo, ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei!
Gc 3,1-10
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