Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 18 al 24 marzo 2012

Santena – 18 marzo 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 18 al 24 marzo 2012 tratte dalla liturgia del giorno con commento alle letture domenicali.

Domenica 18 marzo 2012

Dio ci ha fatto rivivere con Cristo

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

Ef 2,4-10

Il mondo sia salvato per mezzo di lui
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Gv 3,14-21

La storia di salvezza è guidata dall’amore misericordioso di Dio

La storia di salvezza è guidata dall’amore misericordioso di Dio per il suo popolo peccatore. Questa misericordia si manifesta nell’evento che segna la fine dell’esilio babilonese (I lettura), conosce il suo vertice nel dono del Figlio a un’umanità peccatrice (vangelo) e trova un suo sacramento nel battesimo: esso infatti situa il cristiano nell’orizzonte del dono incommensurabile di Dio (II lettura). “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Cristo, come dono di Dio, è sacramento e narrazione dell’amore di Dio e, nell’itinerario da Dio all’uomo, l’amore del Padre (il Donatore) diviene l’amore del Figlio (il Dono che dona se stesso) e diviene amore nell’uomo (il donatario). Il dono che Cristo è, è asimmetrico, non cerca reciprocità: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi” (Gv 15,9); “Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34): il movimento della donazione divina non diviene un circolo asfittico e chiuso nell’infernale bipolarità “io-tu, tu-io” sempre esposta al rischio della violenza e della sopraffazione, ma resta aperto a un terzo di cui tende a far fiorire la soggettività e a servire la vita. Questo dono è decentrante rispetto al Donatore e si risolve in vita del donatario. L’amore che tale dono narra non è totalitario e obbligante, non pretende gratitudine, ma rispetta la libertà e la vita dell’uomo. La salvezza, non la condanna, è il fine dell’invio del Figlio da parte del Padre (cf. Gv 3,17). Questa è l’intenzione paterna di Dio, il senso del suo amore che si esprime nel dono del Figlio. E questo agire divino è normante per la chiesa. Anch’essa è mandata tra gli uomini non per giudicarli, ma per essere segno di salvezza e per narrare loro l’unica cosa salvifica e necessaria: la misericordia di Dio. Di fronte a uomini che spesso sentono la vita come condanna, la chiesa ha il compito di narrare la misericordia divina, di fare opera di liberazione, di dare senso, respiro e vivibilità. Il dono del Figlio è volto a dare vita, non morte, agli uomini (cf. Gv 3,16). Cristo, in quanto dono per la vita degli uomini, ha vissuto la sua intera esistenza donando la propria vita, e così ha generato alla vita, ha trasmesso e suscitato vita. E questo è culminato nella morte di croce, che Giovanni chiama “innalzamento” (3,14). Come Mosè, obbedendo al comando misericordioso di Dio, innalzò il serpente nel deserto perché chi lo guardava trovasse vita e guarigione, così l’innalzamento del Figlio dell’uomo è il compimento della misericordia divina per la salvezza dei credenti (cf. 3,14-15; Nm 21,4-9). Se nel serpente innalzato il credente era condotto a riconoscere il proprio peccato guardando in faccia il simulacro di chi lo aveva punito con i suoi morsi, nel Cristo innalzato il credente vede la misericordia di Dio che perdona i suoi peccati manifestando un amore unilaterale e universalmente salvifico. La pro-esistenza di Cristo non ha evitato il rifiuto che gli è stato opposto. Se la salvezza è destinata a tutti, solo alcuni accedono alla fede e alla conoscenza del dono di Dio in Cristo. Tale dono può essere misconosciuto e rigettato. Ma questo rifiuto non sopprime la qualità di dono che il Cristo è e conferma che esso è a servizio della libertà del donatario. Qui si rivela che il dono di Dio – gratuito ma non neutrale – diviene appello alla fede. Non a caso la prima menzione dell’amore di Dio nel quarto vangelo (3,16) è accompagnata da cinque rimandi alla fede (o alla non-fede) dell’uomo (3,15.16.18). E la distinzione tra adesione e non adesione diviene discernimento tra luce e tenebre, tra opere fatte “in Dio” (3,21) e opere maligne (3,19: fatte nel Maligno). Questa distinzione non si situa sul piano morale e comportamentale (non si tratta di opere buone e cattive), ma designa una presa di posizione negativa di fronte all’inviato di Dio. E allora si comprende che l’unica opera essenziale secondo il quarto vangelo sia la fede. La querelle tra fede e opere è così risolta da Giovanni: “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29).

Comunità di Bose

Dio si lascia crocifiggere per dirti che anche il tuo dolore è il suo

Siamo nel pieno del nostro cammino della quaresima. Di fronte alla tragedia della guerra comprendiamo forse più profondamente il senso di questo periodo di cambiamento, di digiuno, di scelta. La quaresima è la proposta semplice, diretta, personale: guarda come sei per davvero; non scappare con le infinite giustificazioni che ti fanno sentire sempre a posto; prova a scegliere da che parte stare; diventa uomo di pace. Proviamo orrore per la sofferenza causata dalla guerra. Le immagini di morte riempiano di commozione il nostro cuore. Dobbiamo pensare anche alla sofferenza che non vediamo: agli uomini ridotti a cose, ai corpi privati di qualsiasi dignità, ai pianti dirotti di chi ha visto la morte abbattersi accanto a sé, all’angoscia, alla fame, alla sete. È la distruzione del tempio di Dio che è ogni uomo, quell’uomo di cui la guerra cancella anche il nome, riduce ad un numero, al niente. Quell’uomo lì, dal volto sfigurato, uguale a tanti altri, non è dimenticato da Dio. Tutti siamo deportati proprio a Babilonia (l’attuale Baghdad): la guerra – qualsiasi guerra, anche quelle dimenticate – riguarda tutti, tiranno che rende schiavi della violenza e della paura. Si realizza proprio quanto abbiamo ascoltato dal secondo Libro delle Cronache: le infedeltà di tutti, dei sacerdoti e del popolo, il ripetuto beffarsi dei messaggeri di Dio, il disprezzo e lo scherno dei profeti creano una situazione che appare senza più rimedio. Non è stata forse disattesa così la richiesta di coloro che hanno insistito perché i problemi fossero risolti con il dialogo, che non hanno smesso di sanare le tante ferite aperte dai conflitti che contaminano il mondo ed i cuori con l’odio, la violenza, le armi? Non abbiamo cercato troppo a lungo solo i nostri interessi? Non abbiamo confidato pigramente che i problemi si risolvessero da soli? Abbiamo voluto pagare il prezzo della pace oppure ci siamo accontentati che la violenza non ci riguardasse direttamente? Non siamo vissuti spiritualmente lontani in un mondo che è diventato piccolo, dove viviamo fianco a fianco ma non sappiamo essere insieme? Non abbiamo sciupato tante occasioni di pace? Non abbiamo accettato l’ingiustizia, che così tanto contribuisce ad aumentare il fanatismo cieco della violenza? Non abbiamo noi stessi scelto la via di difenderci con le armi dell’arroganza, dell’orgoglio, della supremazia? Dal profondo dell’abisso che è la guerra, alziamo la nostra supplica a Dio, il cui nome in tutte le religioni è pace, ed osiamo ancora chiedere a Lui, con fede, che finisca presto il rumore delle armi, che sia risparmiata la vita degli uomini. Il Vangelo ci offre la risposta all’angoscia ed alla paura. “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”. Gesù richiama quanto accadde a Mosè, che salvò la vita degli israeliti morsi dai serpenti velenosi con un serpente posto sull’asta. È il mistero d’amore di Dio che si lascia innalzare sulla croce perché nessuno sprofondi più nel male. Nelle difficoltà, nei pericoli, nel buio profondo possiamo guardare il crocifisso: nella debolezza di quel povero uomo appeso al legno vedremo l’amore di Dio che si lascia crocifiggere per dirti che anche il tuo dolore è il suo, che sta lì con te, che puoi sperare perché il cielo non è lontano, che con l’amore è vinto il male. Il secondo Libro delle Cronache, che leggiamo in questa quarta domenica di quaresima come prima lettura, lega la caduta di Gerusalemme e il susseguente periodo di schiavitù in Babilonia alla crescita dell’infedeltà del popolo al Signore: “Tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà… si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio” (2 Cr 36,14-16); i nemici incendiarono il tempio, demolirono le mura di Gerusalemme e gli scampati alla morte furono deportati. Con il tipico linguaggio veterotestamentario si vuole sottolineare lo stretto rapporto tra l’attutirsi della tensione morale dell’intero popolo, non solo di qualcuno additato e condannato come responsabile, e la conseguente degenerazione e fine della stessa convivenza civile. Tutti abbiamo bisogno di un tempo – magari in mezzo al deserto – per ricomprendere il senso profondo della propria vita, del proprio agire e del proprio operare. Tale senso, che giustifica l’esortazione a rallegrarsi, ci viene gratuitamente donato da Dio. Il senso della nostra vita è il Signore Gesù che muore e risorge per noi. Quest’uomo “innalzato” è fonte di vita, perché porta con sé una generosità gratuita e senza limiti, quella di Dio: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede il lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”, continua l’evangelista Giovanni. Ma c’è un giudizio? Sì, quello dell’amore. È il più severo e amaro. “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce”. Questo è il giudizio. “Venne tra i suoi ed i suoi non lo hanno accolto”. “Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare”. Il giudizio di Dio è frutto delle nostre scelte, di un cuore che non sa amare. Perché gli uomini preferiscono le tenebre? Sembra assurdo, eppure quante volte scegliamo di non volere bene credendoci più furbi, non volendo mai perdere qualcosa, perché abbiamo paura dell’amore! Cambiamo guardando a lui, alla sua sofferenza, alla croce degli uomini; proviamo a restargli vicini, a volergli bene, ad avere i suoi stessi sentimenti, per risorgere con lui e vincere il male di questo mondo.

Comunità di Sant’Egidio

 

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Lunedì 19 marzo 2012 – San Giuseppe

Io renderò stabile il trono del suo regno per sempre
In quei giorni, fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».

2 Sam 7,4-5.12-14.16

 

Egli credette, saldo nella speranza
Fratelli, non in virtù della Legge fu data ad Abramo, o alla sua discendenza, la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede. Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi – come sta scritto: «Ti ho costituito padre di molti popoli» – davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono.
Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: «Così sarà la tua discendenza». Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.

Rm 4,13-16.18.22

Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

Mt 1,16-18. 21-24

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Martedì 20 marzo  2012

Vuoi guarire?
Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

Gv 5,1-16

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Mercoledì 21 marzo 2012

Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

Gv 5,17-30

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Giovedì 22 marzo 2012

Voi non volete venire a me per avere vita

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Gv 5,31-47

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Venerdì 23 marzo 2012

I Giudei cercavano di ucciderlo

In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia».
Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.

Gv 7,1-2.10-25-30

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Sabato 24 marzo 2012

Mai un uomo ha parlato così!
In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.

Gv 7,40-53

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