Santena – 16 settembre 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 16 al 22 settembre 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 16 settembre 2012
Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?
Is 50,5-9a
Se la fede non è seguita dalle opere è morta
A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».
Gc 2,14-18
Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
Mc 8,27-35
Una vita spesa liberamente nell’amore fino alla morte
Il cammino di obbedienza del servo diviene forza per affrontare con fiducia nel Signore la violenza e il rigetto (Isaia); il cammino di Gesù è itinerario di obbedienza e fiducia in Dio in cui egli si rivela Messia chiamato a conoscere il rigetto, la morte e la resurrezione (vangelo). “Lungo il cammino” Gesù interroga i discepoli sulla sua identità e riceve le loro risposte: è nel concreto e quotidiano seguire Gesù che si chiarisce al discepolo l’identità di Gesù. L’autentica confessione di Gesù avviene esistenzialmente. L’identità di colui che viene confessato attrae e coinvolge l’identità di colui che la confessa: è nella sua vita che il cristiano confessa il Cristo. Ovvero: mentre diciamo che siamo cristiani è importante aver coscienza che dobbiamo ancora diventare cristiani. L’obbedienza alla volontà di Dio si manifesta nel corpo e nelle relazioni, nell’esistenza e nella morte. Fino alla morte. È l’insegnamento, già ricordato, dell’anziano vescovo di Antiochia, Ignazio, che, avviandosi al martirio, scrive ai cristiani di Roma: “Ora incomincio a essere discepolo” (Ai Romani V,3). L’obbedienza di Gesù si manifesta nell’espressione secondo cui il Figlio dell’uomo “deve” molto soffrire (Mc 8,31). Questo “dovere” non rinvia a un’imposizione dall’alto, a una volontà crudele di Dio e neppure a uno spargimento di sangue teso a soddisfare l’ira di un Dio incollerito con gli uomini peccatori. Quel “dovere” sgorga dall’incontro della libertà di Gesù con le esigenze della Scrittura, cioè della volontà di Dio espressa nella Scrittura (“Sta scritto che il Figlio dell’uomo deve soffrire molto ed essere disprezzato”: Mc 9,12). Da lì scaturisce il cammino di Gesù. Cammino che lo porta a vivere gli eventi della passione e morte nella fedeltà a Dio, nell’amore e nella libertà. Gesù sa che, anche nel rigetto e nella derelizione in cui lo lasceranno gli uomini, il Signore Dio lo assiste (cf. Is 50,7). Invece che suscitare immagini perverse di Dio, quel “dovere” indica lo scandalo di un Dio che ha scelto di farsi conoscere agli uomini sulla croce (cf. Mc 15,39), luogo simbolico che raggiunge ogni uomo negli inferi esistenziali in cui può precipitare. E dunque paradossale luogo della salvezza universale. Mentre dunque rivela il paradossale cammino di Dio verso l’uomo, il cammino di Gesù diviene anche lo scandaloso cammino che il discepolo deve seguire. La parola che Gesù annuncia (“Gesù diceva la parola apertamente”: Mc 8,32 lett.) è sempre la scandalosa e paradossale “parola della croce” (1Cor 1,18) che spiazza i pensieri e i cammini dell’uomo (come qui avviene per Pietro: Mc 8,32-33). Davvero “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8). Per questo è bene che Gesù resti sempre per i credenti una domanda: “Chi dite che io sia?” e non diventi mai solamente una risposta. Solo così Gesù sarà veramente il Signore. A discepoli e folla Gesù chiede di rinnegare se stessi, prendere su di sé la croce, perdere la vita (cf. Mc 8,34-35): parole che urtano l’attuale vague spirituale psicologizzante che riduce il cristianesimo a dilatazione di sé e a ricerca del benessere interiore. Ma parole che, assolutizzate, distorcono gravemente la visione della vita cristiana divenendo la base di un annuncio che genera nevrosi e dimentica che il centro della vita di Gesù e del credente è l’amore, una vita spesa liberamente nell’amore fino alla morte. Gesù ha amato Dio e gli uomini con una scelta senza ritorno. La rinuncia e la perdita di Gesù come del cristiano trovano senso all’interno di questo amore. Rinnegare se stessi e prendere la propria croce significa rinunciare a difendersi e portare lo strumento della propria condanna a morte; ovvero, uscire dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore. Quando tutti gli appoggi umani verranno meno e il senso del cammino si farà indecifrabile, allora l’attitudine che il vangelo chiama “perdere la propria vita”, “prendere la propria croce” si rivelerà essenziale per proseguire il cammino in una fede sempre più spoglia e autentica.
Comunità di Bose
Difficile capire un Messia che sceglie la via della croce
“Chi è mai questo Gesù di Nazareth?”. Non c’è dubbio che si tratti di una questione fondamentale; lo era ai tempi di Gesù e non cessa di esserlo anche ai tempi nostri. Anche se questo non significa, purtroppo, che stia davvero in cima ai nostri pensieri. Certamente però occupa uno dei posti centrali nella riflessione di chi con serietà affronta la vita. Nel Vangelo di Marco, questa domanda tiene persino il centro “fisico” della narrazione, tanto è determinante. Siamo arrivati all’ottavo dei sedici capitoli di cui si compone il Vangelo di Marco. In effetti, l’evangelista ci fa giungere a uno spartiacque decisivo. La scena si svolge nell’alta Galilea, mentre Gesù percorre i villaggi attorno a Cesarea di Filippo, una cittadina situata assai lontano da Gerusalemme, all’interno di una regione quasi totalmente pagana. L’evangelista vuole suggerire che di qui inizia decisamente il cammino di Gesù verso la città santa. Da questo momento Gesù discorre “apertamente” e senza che nulla più lo trattenga (v. 32) con i discepoli. Strada facendo, li interroga circa l’opinione che la gente si è fatta sul suo conto. Come si può vedere, è Gesù stesso che pone, nel mezzo della narrazione, la “questione centrale” di tutto il Vangelo: il problema della sua identità. Sembra ormai esclusa l’ipotesi che egli sia un demonio travestito o, come avevano detto gli stessi parenti, un pazzo. Si è invece consolidata la convinzione che sia un inviato di Dio. Sostanzialmente, si potrebbe dire, la valutazione su di lui è positiva e, in parte, coglie nel segno. Alcuni arrivano a identificarlo con l’Elia redivivo di cui si attende il ritorno in preparazione della venuta del Messia; altri, più genericamente, pensano a un profeta fra i tanti o, forse, al più grande profeta degli ultimi tempi; alcuni, come Erode, pensano al Battista redivivo. Tutti concordano nell’ammettere che in Gesù c’è il dito di Dio, ma il giudizio non è chiaro nonostante tutta l’ammirazione che hanno per lui come grande benefattore e taumaturgo. Per questo Gesù lascia da parte le opinioni della gente e rivolge egli stesso intenzionalmente la domanda ai discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro gli risponde apertamente e inequivocabilmente: “Tu sei il Cristo!” (“Cristo” è la traduzione greca dell’ebraico “Messia”, che letteralmente significa “il consacrato”). Questa sembra la risposta che Gesù finalmente si aspetta. I discepoli, fino ad ora ottusi (4,17-21), hanno raggiunto la fede. Eppure la definizione di Pietro, in certo modo, è incompleta; ha bisogno di essere esplicitata, perché contiene in sé una profonda ambiguità. Tant’è vero che Gesù è costretto a “sconfessare” subito dopo il discepolo. Sono due scene incredibilmente vicine e opposte: da una parte la “confessione” di Pietro e, immediatamente, la “sconfessione” che Gesù fa del discepolo. Gesù, di fronte alle parole che lo riconoscono come Messia, comincia a parlare della sua passione (ne parlerà altre due volte da questo momento). Dice che il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto, essere riprovato dagli anziani del popolo, dai sommi sacerdoti e dagli scribi; poi venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro, sentendo queste parole, prende Gesù in disparte e si mette a rimproverarlo. Aveva riconosciuto l’incomparabile grandezza di Gesù tanto da usare per lui il più grande titolo che aveva a disposizione, ma non poteva accettare la “fine” che Gesù aveva loro prospettato. Ed è qui che si scontrano due concezioni del Messia: quella di Pietro, legata alla forza, al potere che sovrasta, all’instaurazione di un regno politico; l’altra, quella di Gesù, segnata dall’abbassamento sino alla morte che terminerà, tuttavia, nella resurrezione.
Quel discepolo che a nome degli altri ha riconosciuto Gesù come Messia diventa ora un avversario; Gesù non può fare altro che stigmatizzarlo di fronte e tutti. Con una crudezza impressionante gli dice: “Va dietro a me, satana!”. Sono parole analoghe a quelle che si trovano nel Vangelo di Matteo alla fine delle tentazioni nel deserto (qualche studioso suppone che Matteo le abbia prese da questo testo di Marco). In entrambi i casi, Gesù viene spinto a dare una connotazione politica alla sua messianicità, perché raggiunga un potere e una signoria di carattere terreno. È certamente difficile assuefarsi all’idea di un Messia che sceglie la via della croce e dell’abbassamento; eppure proprio questa è la via di Dio. Gesù, chiamata la folla che lo seguiva, dice che se qualcuno vuole diventare suo discepolo deve rinnegare se stesso, prendere la propria croce e seguirlo. E aggiunge: chi perde in questo modo la vita, in realtà la salva. Tutto questo apparirà chiaro nel giorno della resurrezione di Gesù. Ma già da ora, anche per noi, la via del servizio al Vangelo e al Signore è il modo di vivere con pienezza secondo Dio. E non sarà mai lecito a nessuno stravolgere il percorso seguito da Gesù.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 17 settembre 2012
Di’ una parola e il mio servo sarà guarito
In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
Lc 7,1-10
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Martedì 18 settembre 2012
Non piangere!
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Lc 7,11-17
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Mercoledì 19 settembre 2012
La Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli
In quel tempo, il Signore disse: «A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».
Lc 7,31-35
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Giovedì 20 settembre 2012
Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
Lc 7,36-50
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Venerdì 21 settembre 2012
Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori
In quel tempo, mentre andava via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Mt 9,9-13
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Sabato 22 settembre 2012
Il seminatore uscì a seminare
In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.
Lc 8,4-15
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