Santena – 16 settembre 2012 – Con la celebrazione di ieri, alle 18 in chiesa parrocchiale, la comunità cristiana cittadina ha salutato l’arrivo di don Martino Ferraris, nuovo viceparroco di Santena e di Cambiano.
La messa è iniziata con un breve indirizzo di saluto che il parroco don Nino Olivero ha rivolto a don Martino Ferraris a nome di tutti i chierici presenti nella parrocchia: don Mauro Grosso e don Lio De Angelis. «A nome di tutta la comunità – ha detto don Nino – diamo il benvenuto a don Martino che, da questa sera, inizia il servizio come viceparroco di Santena e di Cambiano. Domenica prossima, 23 settembre è previsto a Cambiano l’ingresso parrocchiale mio e di don Martino. Rivolgo un benvenuto anche a don Luigi, presente questa sera a concelebrare, per due motivi: ha sposato il papà e la mamma di don Martino, a San Mauro, un po’ di anni fa. Don Luigi è stato viceparroco a Santena dal 1948. A don Luigi rivolgiamo anche gli auguri per il traguardo dei 90 anni che ha raggiunto nei giorni scorsi».
Subito dopo è toccato a don Martino iniziare la celebrazione, con il segno della croce. «Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Il Signore che è via verità e vita sia con tutti voi». Poi don Martino si è rivolto così ai presenti: «Vi ringrazio dell’accoglienza e del benvenuto che mi avete dato e che ci possiamo dare questa sera qui, di fronte al quadro del Sacro cuore di Gesù, che ho alle mie spalle. Io arrivo da Torino, dalla parrocchia del Sacro cuore e sono contento di averlo sempre sulla testa, qui a Santena. Grazie don Nino per questa presentazione e per avermi accolto. Nei giorni scorsi ci siamo già incontrati per la preparazione di alcune iniziative pastorali. Ringrazio don Mauro, con cui sono stato in seminario un po’ di tempo. L’amicizia nostra è nata lì e ringrazio del dono di poterla condividere a Santena e Cambiano. Ringrazio don Luigi che, con il mio parroco don Nicolino, mancato alcuni anni fa, mi hanno cresciuto sulla strada della fede e mi hanno fatto scoprire la bellezza del potere servire il Signore in questa strada del sacerdozio. E allora sono debitore a loro; sono debitore a voi che mi dovete accogliere e avete anche il compito di avere pazienza con me. Con questo debito, che spero di poter saldare in questi anni, iniziamo la celebrazione».
Durante l’omelia don Martino ha detto: «Fino a qualche settimana fa la mia conoscenza di Santena era una conoscenza dalla tangenziale. Non conoscevo niente di Santena. Ero venuto una sera di dicembre a trovare don Nino e don Mauro, con i miei compagni di corso. C’era anche la nebbia, fitta, allora ho visto un po’ il campanile e la chiesa, e basta. Tante volte sono passato in autostrada e ho sempre visto la chiesa e il campanile. Per me Santena era quell’immagine che vedevo dall’autostrada. Non ero mai uscito dal casello per venire a conoscere Santena. In questi giorni – e poi da oggi in poi – sempre di più non sarò più a guardare Santena dalla tangenziale, ma da dentro Santena. E imparerò a conoscerla dal di dentro. Imparerò a sentire come parla Santena. Imparerò a conoscere i nomi di chi abita a Santena. A riconoscere le voci delle persone di Santena. A conoscere i silenzi di Santena. A conoscere le gioie, a conoscere le fatiche. Direi anche a vedere come si mangia a Santena. E a vedere come vive la gente di Santena. Come opera e come prega la gente di Santena. Nel momento in cui entro qui dentro non vedo più queste cose dal di fuori, ma divento anche io uno di Santena e di Cambiano: le gambe di là, le braccia di qua. E allora ho capito una cosa: che fin quando non entriamo dentro una realtà non possiamo conoscerla bene e amarla. Io non potevo amare Santena vedendola solo dall’autostrada. Potrò dirvi come ho amato Santena quando andrò via di qua – spero tra un po’ di anni – dopo che ci sono stato tanto. Quanto conoscerò i vostri nomi. E imparerò le vostre voci, le caratteristiche di questa città e le sue bellezze. Solo allora potrò dire Santena ti conosco bene; ci conosciamo bene; siamo diventati una cosa sola. Solo se sono dentro posso amare davvero qualcosa».
Don Martino ha proseguito così: «Ecco, Gesù nel vangelo ci parla di una conoscenza, a volte superficiale, che possiamo avere con lui. Io direi una conoscenza “da autostrada”. A volte per noi Gesù è come guardalo dall’autostrada; qualcosa vediamo, ma non ci entriamo, non ci mettiamo in gioco con lui. Gesù fa la domanda “La gente chi dice che io sia?” perché vuole capire se giriamo in tangenziale o se entriamo dentro di lui. I suoi, e in particolare Pietro, rispondono bene. Pietro e gli altri intorno sono persone che sono entrati nella vita di Gesù. Dicono “Tu sei il Cristo”. Pietro e gli apostoli non si fermano sull’autostrada, ma prendono lo svincolo ed entrano dentro il Signore, si fermano dentro di lui. Imparano ad ascoltarlo. Imparano a riconoscere la voce. Imparano a riconoscere i suoi silenzi, ad amare le sue caratteristiche. Mangiano con lui, lo vedono sofferente, poi lo vedranno risorto. Cioè stanno dentro il cuore di Gesù. Anche il quadro che ho alle spalle, come quello della chiesa di Torino che ho lasciato, ha una mano che indica il cuore, come se Gesù ci dicesse “tu devi stare qua dentro, questo è il tuo posto”. Occorre abitare dentro di lui».
«E allora, utilizzando questa immagine, credo che possiamo utilizzare un cammino abbastanza semplice per entrare nella vita di Dio e non rimanere in tangenziale – ha proseguito don Martino –. Ecco, arrivando da Torino mi sono fermato a un casello, ho pagato un pedaggio, 1,70 euro, abbastanza costoso. Allora, la prima cosa che dobbiamo fare per entrare nella vita di Dio è pagare il pedaggio, cioè lasciare dietro di noi la zavorra, la vita vecchia, lasciare via qualcosa, anche quando costa. Gesù dice chi non rinnega se stesso e non prende la sua croce… Occorre lasciare dietro l’uomo vecchio, anche se costa. Spesso vogliamo fare fuori l’uomo vecchio che è in noi, ma in realtà lo facciamo solo andare un po’ via, ma poi lo facciamo tornare perché ci stiamo bene con lui. Il Signore ci dice di lasciarlo dietro».
Don Martino ha detto: «Per entrare qui a Santena si prende una deviazione. La strada che ci porta dentro Gesù è la preghiera. Con essa entriamo dentro la vita di Dio. La preghiera è la strada larga, magari con qualche curva, che ci porta dentro la vita di Dio. La preghiera è fatta apposta perché noi possiamo entrare nella vita di Dio. Abbiamo così l’opportunità di imparare a riconoscere la sua voce ad amare la sua parola. Ecco, occorre nutrirci della sua parola, deve suonarci familiare. Quando io sento al telefono qualcuno che conosco lo riconosco subito, anche se non lo vedo. Il vangelo mi deve essere familiare. Occorre imparare ad ascoltare anche i silenzi di Dio, che non parla sempre e non è sempre così come lo vogliamo noi. E allora credo che entrare nella vita di Dio vuol dire anche partecipare ai silenzi di Dio; non avere sempre le risposte comode; accettare anche di non capire tutto di Dio, ma sapere stare nell’umiltà paziente, pronta ad accogliere la parola, quando arriva. E poi dicevo nutrirsi e allora ecco la partecipazione alla messa, il momento in cui spezziamo il pane con Dio: il Signore ci da il pane del cielo, il suo corpo, nutrirci di lui e direi anche del suo perdono. Ecco dunque siamo chiamati a sfruttare i confessionali: entrare lì vuol dire tirare l’acqua al nostro mulino e non al mulino dei preti. Entrando lì ci guadagno, ritrovo la dignità, mi viene ridato lo slancio, mi viene ridato lo sguardo benevolo di Dio, che non mi ha mai tolto, ma che mi sono dimenticato che ci fosse. Significa condividere anche la sofferenza che il Signore vive nella storia e condividere anche le gioie, imparare a gustarle, a non buttare via nulla di quanto viviamo. Saper dire, solo alla fine della nostra vita, Signore ti ho conosciuto. Guai a dire adesso ho capito tutto di Dio. Se io amo un’altra persona e gli dico “Adesso ho capito tutto di te”, allora è la fine. Occorre non stufarsi mai nel cercare il Signore, di stare dentro di lui. Io credo che il nostro essere qui come preti a Santena e anche a Cambiano vuole essere uno stare con Gesù, insieme, perché anche noi abbiamo bisogno di fare questo. Noi siamo anche qui al vostro servizio per aiutarvi a starci dentro, ad apprezzarlo, insomma a non stare in tangenziale. Ecco allora che l’anno della fede che si apre adesso, a ottobre, sia un anno per la nostra parrocchia, per la nostra unità pastorale, per la Chiesa, in cui ci diciamo “Basta girare in periferia”. Entriamo dentro il Signore e stiamoci. Viviamolo. Ecco il significato di “Venite a me e io vi ristorerò”. Questo è il mio augurio e il mio desiderio di questo servizio che inizia con voi, che io non inizio in modo scontato. Io non sono partito da Torino dicendo “Ora cambio lavoro”, perché non è “un lavoro”. Io sono venuto con emozione. Oggi i sentimenti che avevo erano quelli della mia ordinazione. Una novità. Però mi sono ho detto che il Signore c’è qui come in tutto il mondo. E’ dentro di Lui che tutti dobbiamo stare e allora solo così troveremo la quadra in tutto quello che faremo, il senso di quello che faremo. Noi preti speriamo di aiutare voi a fare questo, ma voi avete il grande compito di aiutare noi per servirvi bene, per servirvi per rimanere nel cuore di Dio, quel cuore che è la fonte della nostra vita, della nostra gioia e dell’esito furbo della nostra esistenza. Sia lodato Gesù Cristo».
Poco prima della fine della celebrazione, don Mauro Grosso si è avvicinato al microfono del leggio utilizzato dai lettori e ha detto: «Sono il tuo immediato predecessore e allora ti porgo il benvenuto, da viceparroco a viceparroco, una formula anomala, ma bella. Troverai un po’ le cose che, con le mie miserie e le poche capacità sono riuscito a fare, insieme e grazie a loro. Troverai una comunità che credo abbia due caratteristiche. Una comunità grande, non nel senso della dimensione, ma nel senso della profondità. Grande, ma esigente. E sono convinto che in questi anni, almeno fino a quando i superiori continueranno a farmi lavorare insieme con te, qui a Santena lascerai un pezzo di cuore. Questa è la grandezza della comunità di Santena, ma lo lasci anche perché loro se lo prendono. E allora si lascia un pezzo di cuore a Santena per queste due ragioni. Questo è il bello di stare qui. E ogni posto dove si sta ha il suo bello, ha il suo brutto e le sue fatiche».
Don Mauro Grosso ha aggiunto: «Dunque benvenuto don Martino, da viceparroco a viceparroco, con questo valore aggiunto che tu hai il privilegio e la grazia di vivere insieme a don Nino. E cioè di poter essere, tu viceparroco e lui parroco, di due comunità, di due parrocchie checché continuino a dire giornali, giornalini, giornaletti, giornalacci …carta straccia, continueranno a restare due comunità distinte. Due parrocchie. Ma che potranno godere di questa grande presenza, cioè dello stesso parroco. Parroco di tutte e due le parrocchie, dello stesso viceparroco, vice parroco delle due parrocchie perché così, finalmente, ci incammineremmo un po’ su quella strada che tutti quanti cominciamo a intravedere che è la strada di una comunione più profonda tra le comunità. Senza cancellare nulla, senza accorpare nulla. Senza assorbire nulla, ma soltanto nella via di guardare all’unico Signore davvero un po’ insieme, scambiando e condividendo le esperienze. Grazie di essere qui».
A questo punto è partito un applauso che si è interrotto appena quando il parroco ha ricordato che in chiesa erano presenti il papà, la mamma e la sorella di don Martino, poi il battimani è continuato.
Don Martino ha risposto così: «Volevo ringraziare di cuore per la vostra accoglienza, partendo dai più piccoli, dai chierichetti e dai bambini che sono qui, sparsi con la chiesa, dai ragazzi che con gli adulti hanno animato la messa. Qualcuno l’ho già conosciuto; gli altri spero di conoscerli piano piano. Quando ci incontriamo voi ditemi sempre i vostri nomi così, piano piano, li imparerò tutti. Rivolgo un grazie anche agli amici che sono venuti da Torino. Quattro ore fa ero ancora nella stanza, vuota, della parrocchia a Torino, dove sono stato per 5 anni da prete e tre da seminarista. Ringrazio anche gli amici di quando ero molto più piccolo che sono venuti qui ad accompagnarmi. Grazie agli amministratori, Lidia, Giovanni e Paolo per l’accoglienza che mi hanno riservato a nome dell’intera amministrazione. Ringrazio tutti i sacerdoti che sono qui, don Lio e don Luigi, più che fratelli posso sentirli come nonni spirituali. Don Nino lo considero padre spirituale, don Mauro come fratello. Ringrazio la mia mamma e il mio papà – e mia sorella – che mi hanno dato al mondo; meno male perché se non ci fossero stati loro non ci sarei qui oggi».
Don Martino ha chiuso così: «Allora grazie anche di questo dono che mi avete fatto. Sono contento anche della presenza dei seminaristi Enrico e Beppe, così come dei seminaristi che verranno a Cambiano ad aiutarci. Credo che sia una bella squadra che ha voglia di lavorare per il Signore. Vi chiedo tanto aiuto e di correggerci là dove c’è bisogno e di sostenerci dove dobbiamo essere sostenuti. Grazie mille». Terminata la celebrazione è seguito un momento di festa in oratorio.
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File audio dell’omelia di don Martino Ferraris: 2012set15_OmeliadonMartino
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