Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 9 al 15 dicembre 2012

Santena – 9 dicembre 2012 – Proposte di riflessione, per i giorni dal 9 al 15 dicembre 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 9 dicembre 2012

Dio mostrerà il tuo splendore

Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà». Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.

Bar 5,1-9

Che possiate distinguere ciò che è meglio

 

Fratelli, sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

Fil 1,4-6.8-11

La parola di Dio venne su Giovanni

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

Lc 3,1-6

 

 

Giovanni è un buon compagno per riscoprire il senso vero della vita

Per noi, uomini e donne “moderni”, circondati da una civiltà di rumori, da una molteplicità di messaggi, da un caos distraente, da una sorta di grande luna park dell’effimero, non è facile comprendere la figura di Giovanni Battista. Uomo robusto e severo, nella sua essenzialità, Giovanni è un buon compagno per riscoprire il senso vero della vita. È uno dei personaggi più venerati, dopo Gesù e la Madonna, nell’immaginario collettivo dell’ecumene cristiana. La sua fama, irrobustita dal proliferare delle reliquie, si è estesa anche al di fuori del mondo cristiano. Basti pensare all’islam: all’interno della grande moschea degli Omayyadi, a Damasco, quasi al centro, c’è la tomba di Giovanni Battista, ancora oggi circondata da povera gente. Giovanni è una figura complessa. Già dall’inizio ha fatto discutere. Gesù apostrofò gli apostoli a proposito di Giovanni: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto?” (Mt 11,7). C’è un tratto caratteristico del Battista: è un uomo che parla. Parla con voce forte, dal pulpito di una vita severa ed essenziale e grida a ogni uomo che deve attendere il Signore. Giovanni però non parla da sé, ma perché è stato raggiunto dalla “parola”, in quel preciso anno, il decimoquinto, in quel determinato luogo, il deserto, come nota Luca: “Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio… la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto”. La “parola” non è un fatto evanescente, non è una specie di entità vagamente spirituale e neppure un mito o un’idea. È invece una realtà storica che “scende” nelle vicende dei popoli, che ha legami con le date degli uomini, non solo con quelle del popolo di Israele ma anche con quelle dello stesso impero romano. E con quelle del nostro tempo. Anche il deserto non è un luogo tanto distante da noi: è il deserto delle nostre città ove una vita degna di questo nome è troppo spesso rara; è il deserto di questo mondo ove il peccato e la solitudine provocano amarezza e morte. Giovanni è un testimone e un predicatore libero dai giochi viziosi e lussuosi, libero dagli intrighi dei palazzi dei re, libero dai sollazzi degli uomini che portano morbide vesti. È un uomo povero. I suoi abiti manifestano la sua condizione di povertà: veste solo di pelo di cammello e di una cintura ai fianchi. È povero nel cibo: locuste e miele selvatico. Ma nella sua povertà è libero.
Giovanni parla con vigore e attacca farisei e sadducei svelando la loro abilità nel fingere pentimento per restare sempre uguali a se stessi. Così la sua parola non ha paura di additare quel che avviene nel palazzo del re, anche se questo coraggio gli costerà la vita. Insomma, Giovanni non giustifica l’orgoglio di quelli che si sentono sicuri perché abitano determinati palazzi o le immediate adiacenze e neppure l’orgoglio di quelli che si sentono sicuri per chissà quali meriti, magari per essere “figli di Abramo”. L’orgoglio è lontano dal cuore di Giovanni: “Non sono degno neppure di sciogliere il legaccio dei calzari” (cfr. Gv 1,27), dice riguardo a Gesù. Quest’uomo umile sa accusare l’orgoglio e l’autosufficienza con grande fermezza. L’umiltà non è paura, non è silenzio, non è moderazione, non è spirito di adattamento. L’umile pone la propria fiducia nel Signore e solo in lui. Ma la forza e il vigore non lo rendono disumano e lontano: Giovanni sa ascoltare, sa parlare, sa compiere gesti di perdono verso quella lunga fila di uomini e di donne che vanno da lui a confessare i loro peccati e a farsi battezzare con il battesimo di penitenza. È un profeta che grida. E grida perché deve fare spazio, nel caotico deserto di questo mondo, a una nuova vita. Vuole aprire nel deserto la via del Signore. L’evangelista Luca riprende le parole dell’anonimo profeta (il secondo Isaia) che descrivono il ritorno di Israele dall’esilio di Babilonia. È la narrazione di una grande strada rettilinea e pianeggiante, simile a quelle che nell’antichità conducevano ai templi, le cosiddette “vie processionali” da percorrere nel canto e nella gioia. C’è bisogno di abbassare tante asprezze di orgoglio e di arroganza. C’è bisogno di colmare tanti avvallamenti fatti di freddezza e di indifferenza. E preparare così la via del Signore che viene. Giovanni, nella sua severa rudezza, è questa voce che grida: “Convertitevi perché il Signore è vicino!”. È un messaggio semplice, ma radicale. Un orecchio abituato a queste parole potrà classificarle tra quelle già note; ma chi considera già noto quanto il profeta dice va a ingrossare il numero di quei farisei che tentano di sottrarsi al “giudizio di Dio”. Forse anche a noi è chiesto di raggiungere Giovanni nel deserto, di andare a chiedere a lui il battesimo di penitenza, per sperare e operare per un mondo diverso. Così vedremo aprirsi nel deserto una via ampia, ove l’unico ingorgo  ma questo rallegra  è quello dei poveri, dei deboli e di tutti coloro che sono in ricerca di una parola di salvezza.

Comunità di Sant’Egidio

Un uomo che osa lasciarsi purificare

La parola del profeta (I lettura), la predicazione di Giovanni Battista (vangelo), l’insegnamento dell’Apostolo (II lettura) sono le necessarie mediazioni della Parola di Dio. E il profeta, Giovanni Battista e Paolo sono i mediatori che svegliano il popolo alla coscienza della salvezza che Dio sta operando nella storia e lo dispongono ad accoglierla. Per “vedere la salvezza di Dio” (cf. Lc 3,6) occorre che siano spianate le alture e colmate le valli che separano la terra della deportazione dalla terra d’Israele (Baruc), occorre che siano abbassate le montagne dell’orgoglio e colmate le valli della disperazione in un vero movimento di conversione (Luca), occorre mettere in atto il discernimento che conduce a una equilibrata visione di sé di fronte al Signore che viene (Filippesi). In un contesto storico estremamente problematico sia dal punto di vista politico che religioso (l’occupazione romana della terra d’Israele e la situazione di degrado del sacerdozio gerosolimitano) la speranza viene dal deserto (cf. Lc 3,1-2). La storia di salvezza conosce i suoi re-inizi nei luoghi marginali, periferici, desertici, dove la Parola di Dio può trovare un uomo non distratto che lascia dispiegare su di sé la sua potenza. La purificazione della vita del popolo, la riforma della vita ecclesiale iniziano non da strategie innovative, ma da un uomo che osa lasciarsi purificare, plasmare, dare forma nuova dalla Parola di Dio. Giovanni, di stirpe sacerdotale (“figlio di Zaccaria”: Lc 3,2), diviene profeta: “la Parola di Dio fu su Giovanni”. La vicenda personalissima di un uomo che osa mettere il proprio cuore alla dura scuola del deserto viene fatta emergere accanto alla esteriorità eclatante della macrostoria (cf. Lc 3,1) e agli intrighi delle gerarchie religiose (il v. 2 fa allusione al fatto che Anna, dopo essere stato sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C., continuò a controllare quella carica e a tenere le fila del potere religioso grazie ai suoi figli e poi al genero Caifa che subentrarono in quella carica). Carattere deprimente della situazione storica e squallore della “politica ecclesiastica” non distolgono Giovanni dall’abitare nel deserto per accogliere la Parola di Dio e vivere la propria conversione. Certo, questo significherà che la parola della sua predicazione sarà a lungo un far risuonare la sua voce nel deserto, nel nascondimento, nella marginalità, ma il lavoro operato dalla Parola di Dio su di lui lo renderà capace di chiedere poi conversione e di indicare ad altri la via per arrivare a vedere la salvezza di Dio. E le condizioni che ostacolano la visione della salvezza di Dio non si situano solo fuori di noi (situazione politica o ecclesiastica), ma anzitutto in noi. Monti da abbassare e burroni da riempire hanno una valenza simbolica (cf. Is 2,12-18) e ricordano al credente che il troppo alto e il troppo basso, l’orgoglio e l’io minimo, l’esaltazione e la depressione sono condizioni di accecamento. Sia il farsi un’immagine troppo alta di sé (cf. Rm 12,16), sia lo svalutarsi sconsideratamente (cf. Mt 6,26; Lc 12,24) nascono da uno sguardo così ripiegato su di sé che non sa vedere il Signore e la sua azione. Si tratta insomma di preparare nel proprio cuore una strada al Signore: del resto, la stessa azione di rendere diritto (vv. 4.5 cf. Lc 3,4-5) ha valenza simbolica e mira alla rettitudine del cuore (cf. At 8,21) necessaria per vedere la salvezza di Dio. O, se vogliamo, mira alla purificazione del cuore necessaria per vedere Dio: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). La conversione appare così come la responsabilità che il credente ha nei confronti della Parola di Dio ma anche di “ogni uomo” (Lc 3,6: lett. “ogni carne”): la mia non-conversione ostacola anche l’altro a vedere la salvezza di Dio, mentre la mia conversione è già narrazione della salvezza che Dio opera. La conversione è dunque una preparazione, un essere pronti per il Signore, per la sua venuta: “Siate pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate” (Lc 12,40). L’esortazione diviene per noi, necessariamente, domanda: siamo pronti?

Comunità di Bose

 

Lunedì 10 dicembre 2012

Perché pensate così nel vostro cuore?

Un giorno Gesù stava insegnando. Sedevano là anche dei farisei e maestri della Legge, venuti da ogni villaggio della Galilea e della Giudea, e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. Ed ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza. Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può perdonare i peccati, se non Dio soltanto?». Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico -: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio. Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».

Lc 5,17-26

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Martedì 11 dicembre 2012

Andrà a cercare quella che si è smarrita

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».

Mt 18,12-14

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Mercoledì 12 dicembre 2012

Imparate da me, che sono mite e umile di cuore

In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Mt 11,28-30

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Giovedì 13 dicembre 2012

Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui

In quel tempo, Gesù disse alle folle: «In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elìa che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».

Mt 11,11-15

 

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Venerdì 14 dicembre 2012

La sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie

In quel tempo, Gesù disse alle folle: «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».

Mt 11,16-19

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Sabato 15 dicembre 2012

Anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire

Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?». Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro». Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.

Mt 17,10-13

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