Santena – 4 gennaio 2013 – Don Martino Ferraris, viceparroco a Cambiano e Santena, delinea un primo bilancio dell’esperienza vissuta, da settembre a oggi, nelle due comunità parrocchiali.
Don Martino Ferraris che bilancio si può tracciare di questi primi mesi?
«Sono qui, a Santena e a Cambiano, da sabato sera 15 settembre 2012. La mia sensazione è un po’ questa: di lavoro intenso. E questa intensità deriva dal fatto che, a mio parere, entrambe le comunità sono vive. E questa è una bella cosa. Una sensazione e una intensità che deriva anche dal fatto che uno deve imparare un po’ tutto. Questa novità però porta anche la voglia di mettersi più in gioco rispetto a quando conosci già tutte le cose e rischi di impigrirti un po’. Un secondo punto da dire è la bella sensazione che ho avuto in questi mesi con i preti che vivono qui. Preti con cui ci troviamo non solo a collaborare per le cose pratiche, ma anche a vivere e a guardare la Chiesa con uno sguardo simile. Fare comunità è una cosa bella, sia per le nostre età, diverse, ma anche per le esperienze differenti che viviamo. Mi piace questo sguardo positivo sulla Chiesa, sulle due comunità parrocchiali. E’ positiva la disponibilità a lavorare dentro le comunità da parte di tutti noi preti, anche da parte di quelli più anziani che non hanno più ruoli attivi in parrocchia. La terza cosa da segnalare nel tracciare un bilancio dei primi mesi è il clima di serenità. E’ fondamentale. Per me è un po’ una novità. E dico questo nonostante il ritmo di questi mesi: corro tutto il giorno, faccio tante cose. Sin qui le serate libere sono state pochissime però c’è stata una serenità che ha avvolto tutto. E questa è la condizione ideale per dire sono contento di quello che faccio, al di là dei risultati. Il mio bilancio è che sono proprio contento di questi primi tre mesi a Santena e a Cambiano. Sono felice di questa occasione che il vescovo mi ha dato».
Come sei stato accolto dalle due comunità?
«Così, a pelle, la sensazione è che pur essendo tutte e due vive hanno un approccio diverso. Cambiano è un po’ più piccola e quindi ha anche ritmi ancora più da paese. Santena è più grande: basta già arrivare alla rotonda di Fabaro per capire che le cose sono diverse rispetto a Cambiano. L’anonimato è maggiore. Direi che nelle due comunità l’accoglienza nei miei confronti è stata molto positiva. E, a Cambiano posso dire lo stesso anche del parroco don Nino Olivero. Sento che ne parlano bene. Sono contenti. Quindi, direi che la gente l’ho trovata non solo aperta e disponibile, ma anche collaborativa a innovazione e stimoli diversi che abbiamo apportato qua e là. A Cambiano le prime reazioni negative, sorte in alcuni, con la nomina del nuovo parroco sono ora un ricordo del passato. A conti fatti si può dire che Santena ha avuto un prete in più: don Mauro non è andato via. A Cambiano inizialmente sono rimasti un momento perplessi: oggi si può tranquillamente dire che, in questi mesi, di tagli non ne sono stati fatti».
Quali sono le richieste che arrivano dai parrocchiani?
«Una cosa che sento a pelle è che la gente vuole che tu ci sia, il più possibile. Poi, il come, è un secondo passaggio. Sono sempre un po’ in imbarazzo quando parto di là, a Cambiano, e vengo di qua, a Santena. Mi sembra che Cambiano senta la mia mancanza. Quando torno, dopo due giorni di assenza, mi dicono che non mi hanno più visto. Quasi come se non facessi bene il mio dovere. Alcune volte certe frasi mi mettono a disagio. Per conto mio, dopo un po’ di mesi, sto cercando di cercare di studiare quale può essere l’equilibrio migliore per esserci in modo proporzionato, al di là delle singole situazioni. All’inizio siamo partiti facendo un po’ come si poteva. Poi abbiamo operato alcuni aggiustamenti. Tutto sommato la sensazione che mi arriva dalla gente è positiva: ci siamo. Accompagnando don Nino vedo che la gente è contenta. A mio parere bisogna a volte stare attenti alle molteplici attività: certe sere ci sono tre cose diverse in tre posti diversi. Se uno non passa qualcuno sente subito la mancanza. Però se uno ogni sera è presente dappertutto rischia di essere solo una presenza registratrice, con un po’ di ciao e non una presenza di relazione. Per il futuro bisognerà cercare di capire se si vuole essere “registratori” o presenza di “relazione”».
Ci sono cose positive, eccellenze, nelle due comunità, che hai colto in questi primi mesi?
«Rispetto all’esperienza sin qui compiuta la prima ‘eccellenza’, tra virgolette, è che la gente sente sua la parrocchia. Questo avviene con maggiore intensità rispetto alla parrocchia di Torino dove ero impegnato prima. I parrocchiani ci tengono alle iniziative organizzate. Se si organizza qualcosa non sei tu che li devi pressare a intervenire. La gente c’è, si impegna in prima persona. Si occupa di tutte le cose pratiche. E questo succede a Santena come a Cambiano. Succede negli adulti, che hanno forse più appartenenza, ma è ben vivo anche nei ragazzi. Ci sono. Si mettono in gioco. In parrocchia si sentono a loro agio. Ogni tanto, ai più giovani, ricordo loro di stare anche un po’ a casa, in famiglia».
Quali tipi di richieste ti arrivano da quelli che fanno più fatica?
«Ecco qui c’è già una differenza rispetto a quello che ho vissuto a Torino. A Torino ero in una parrocchia di 25mila abitanti: vi era un continuo suonare da parte della gente che, in ogni momento, veniva a chiedere in canonica. A Cambiano sinora sono venuto a suonarmi in pochissimi. Le famiglie in difficoltà non mancano: a Cambiano come a Santena la Caritas funziona a dovere. Certo bisognerebbe che la comunità per certi problemi non delegasse tutto alla Caritas. La Caritas avrebbe bisogno di maggior sostegno da parte dell’intera comunità cristiana. In questo senso con i giovani stiamo pensando a qualche attività a sostegno della Caritas. Una cosa da dire è che la gente è molto riservata. Chi ha bisogno chiede con discrezione e senza pretese. Almeno, sino a oggi questa è la mia esperienza in merito».
Come percepisci il mondo giovanile. Quali segnali inviano i ragazzi?
«Diciamo che su questo punto la situazione è simile a quella che vivevo in parrocchia a Torino. Ci sono due aspetti da segnalare. Il primo è quello di slancio e di voglia di fare: questo è ben presente in entrambe le comunità. Una cosa che è sempre problematica è la mancanza di costanza nella presenza. La mia sensazione è che, soprattutto i ragazzi più giovani, vivano un po’ a spot, a evento. Per le singole iniziative ci sono e sono disponibili. Però se questa cosa deve portare poi a un cammino di costanza allora si dileguano. La mia sensazione è un po’ questa: ci sono potenzialità belle, però la costanza viene meno. Mi sto chiedendo se dobbiamo un po’ ripensare i modi con cui facciamo i gruppi parrocchiali. Anche a partire dai nomi: triennio e biennio, che sanno di roba lunga. Altre realtà aggregative hanno un altro tipo di approccio: forse dovremo lasciarci contaminare, almeno nelle cose che funzionano».
Per il futuro hai qualche sogno?
«Certo. Il sogno che ho per il futuro – e dico sogno e non progetto, perché non voglio mettere in cantiere niente – è proprio il desiderio che con le due parrocchie si possa fare qualcosa di più insieme, soprattutto direi a livello di pastorale giovanile. Mi piacerebbe fare questo anche per rendere più significativa le presenza di noi preti.
Magari si potrebbero ripensare alcuni gruppi, con poco seguito. Ci stiamo pensando anche se non ho ancora chiaro come procedere. Io penso che bisognerà trovare alcuni nodi della vita parrocchiale, sui quali valga la pena provare a costruire cose insieme tra le due comunità. Altre cose possono benissimo continuare a procedere in modo separato, ma io credo che almeno su alcune dovremo cominciare a ragionare in modo più unitario».
Don Martino, come si svolge una tua giornata tipo?
«Io penso che la vita di noi preti sia un po’ come il gioco del Monopoli: ci sono molti imprevisti e probabilità. Lungo la giornata, di cose fisse, alla fine, c’è la messa e magari qualche riunione. In mezzo però ci sono davvero un mucchio di imprevisti e probabilità. La mattina mi alzo alle 7 meno venti. Alle 8 vado in chiesa, per la messa, che a Cambiano celebro nei giorni feriali, salvo il lunedì quando c’è il parroco don Nino. Il mio giorno libero è il lunedì. Che passo a casa con la mia famiglia. Il martedì vengo a Santena per fare un po’ di ufficio, il pomeriggio scorre tranquillo, la sera c’è sempre una riunione. Il mercoledì lo dedico a Cambiano: mattino, pomeriggio, con il catechismo e la sera, con riunioni con i giovani. Il giovedì mattina sono a Santena, il pomeriggio ho catechismo, la sera in agenda ci sono riunioni. Il venerdì lo passo a Cambiano: in mattinata visito i malati, la sera sono impegnato con i gruppi giovani. Il sabato mattina sono in parrocchia a Cambiano, a disposizione di chi vuole venirmi a parlare; in giornata c’è poi un po’ di presenza in confessionale. Così scorrono le settimane: a sera si finisce sempre tardi, ma non è possibile organizzarsi diversamente. Le riunioni con i giovani si possono fare solo di sera: per loro di giorno ci sono gli impegni di studio e lavoro. Per questo dico che le mie giornate sono simili al Monopoli. Si corre, si gira sempre tra imprevisti e probabilità: mi sembra che questo gioco ben si addica alla vita che conduco».
«Con tutti i miei limiti sono contento di poter proseguire – chiude don Martino Ferraris –. Di recente, durante la messa ho detto ai parrocchiani che il bilancio di questi primi mesi si può sintetizzare con le parole “Deo gratias”, il saluto che è di casa al Cottolengo. Rendiamo grazie a Dio. Anche nelle situazioni difficili – e al Cottolengo quelle non mancano –, c’è sempre un motivo per rendere grazie al Signore. Ecco, questi mesi a Santena e Cambiano li voglio sintetizzare così. Quelle sin qui fatte sono riflessioni sommarie, sinora ho potuto dare una “annusata” alle due comunità. Per un bilancio vero e proprio direi che bisognerà ridarci appuntamento al settembre 2013. Per intanto, grazie mille, a tutti quanti».
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Twitter @FilippoTesio