Una pausa per lo spirito – proposte per i giorni dal 3 al 9 febbraio 2013

Santena – 3 febbraio 2013 – Alcune proposte di riflessione per i giorni dal 3 al 9 febbraio 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 3 febbraio 2013

Ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce

raggioluceNei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore:«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».

Ger 1,4-5.17-19

Si rallegra della verità

Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

1 Cor 12,31-13,13

Lo cacciarono fuori della città

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Lc 4,21-30

Tentazione di ridurre il Vangelo alla vita di sempre

Gesù, lo abbiamo ascoltato la settimana scorsa, torna tra i suoi, a Nazareth, dove pronuncia il suo primo discorso pubblico. Vuole rendere nuova la vita di sempre, quella consumata dal tempo, dai giudizi, dalle abitudini. Dopo avere ascoltato la profezia di Isaia che parlava di colui che veniva per portare ai poveri il lieto annuncio, la liberazione ai prigionieri ed ai ciechi la vista, aveva detto: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”. Il sogno di Dio inizia oggi, non in un incerto domani: la parola diviene realtà, non è uno dei tanti discorsi che siamo abituati a ripetere ed ascoltare, una delle tante parole che finiscono per diventare uguali perché nessuna diventa vera. Gesù è parola e vita. Anche noi dobbiamo unire le parole alle scelte concrete, all’oggi, perché il Vangelo è una buona notizia per i poveri, per tutti. Ma qual è la reazione a questa affermazione così rivoluzionaria di Gesù? Gioia? Entusiasmo? No. Gli abitanti di Nazareth, i suoi conoscenti, si domandano: “Non è il figlio di Giuseppe?”. Cioè: “È uno che conosciamo bene! Come può realizzare un sogno così?”. La nostra tentazione è quella di ridurre il Vangelo alla vita di sempre. Crediamo di sapere già e ci fidiamo della nostra esperienza, tanto che pensiamo non serva più nemmeno ascoltare. Aspettavano il salvatore, ma non potevano accettare che si presentasse con le sembianze di un uomo qualunque, per di più già noto! Gesù è il figlio di Giuseppe, ma è anche un altro. La gente di Nazareth non vuole allargare il cuore ai suoi sentimenti universali. E quanto facilmente il cuore si restringe e diviene piccolo e misero! Sono diffidenti, pronti a pensare male. È il problema di Nazareth: resta vecchia perché non prende sul serio l’oggi del Vangelo. Crede alle cose, ma non allo spirito che le può cambiare nel profondo. Non c’è speranza a Nazareth! Il profeta parla, ma nessuno lo prende sul serio. I suoi concittadini, in fondo, hanno ragione. Eppure è proprio questa ragione che spegne la profezia. Non a caso Gesù richiama la vicenda del profeta Elia il quale, durante una dura carestia nel paese, fu mandato solo ad una povera vedova vicino Sidone. Questa povera donna, dopo l’iniziale paura, accolse il profeta e gli offrì tutto quello che aveva. Gesù ricorda anche l’episodio del profeta Eliseo mandato a guarire dalla lebbra solo uno straniero, Naaman il Siro. Costui non era particolarmente credente, anzi era uno straniero e per di più con sentimenti di superbia. Sia lui che la vedova accolsero i profeti e furono aiutati. In loro prevalse il bisogno di aiuto e di guarigione e si affidarono alle parole del profeta, esattamente il contrario di quanto fecero gli abitanti di Nazareth. A Nazareth Gesù non trova donne bisognose come quella vedova e uomini desiderosi di guarigione come quel siro pagano. È accolto con sufficienza, certo con curiosità, vista la fama che si è sparsa su di lui, ma non v’è un atteggiamento di ascolto bisognoso, non vi è attesa interiore per cambiare il proprio cuore e la propria vita. Essi cercano sensazioni, mentre Gesù chiede conversione. Si aspettano prodigi e spettacolo e Gesù li invita alla fatica quotidiana del cambiamento. I nazareni non accettano. La loro incredulità, e forse anche la nostra, non è sul piano teorico. È una incredulità molto concreta: è il rifiuto che Gesù entri nelle scelte della vita quotidiana, il rifiuto che la sua voce, in tutto simile alle nostre voci, sia però al di sopra delle nostre. È questa incredulità che impedisce al Signore di operare miracoli. Nel brano parallelo del Vangelo di Marco si nota, con amarezza, che Gesù non poté operare nessun miracolo a Nazareth a motivo della loro incredulità (Mc 6,8-9). L’incredulità lega l’amore di Dio, riduce all’impotenza le sue parole rendendole totalmente inefficaci. In certo modo le uccide. Ecco perché l’incredulità diviene assassina. Come i nazareni spinsero Gesù fuori della loro città e tentarono di ucciderlo, perché non tornasse più in mezzo a loro rivendicando un’autorità sulla loro vita, così accade ogni volta che noi non accogliamo il Vangelo con il cuore sincero e disponibile. Lo mettiamo fuori della nostra vita, fuori della vita degli uomini, continuando la “via crucis” che a Nazareth ebbe la sua prima tappa e a Gerusalemme il suo culmine. Forse già da quel giorno a Nazareth Gesù sente vere per lui le parole che dirà ai suoi discepoli: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. È la vocazione del profeta. L’inizio del libro di Geremia ci ricorda la sua incredibile vicenda intessuta di sofferenze, di isolamento, di contestazioni. Ma il Signore lo conforta: “Ti muoveranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti” (Ger 1,19). L’apostolo ci indica la via umana migliore di tutte, quella a cui tutti dobbiamo aspirare, tutti: la via della carità! Chi è più grande? Colui che ama, che rende grandi gli altri perché li ama. Tutti siamo chiamati a vivere la carità. Allo scettico sembra ingenuità, al realista un sogno impossibile, al calcolatore una perdita, al giusto un eccesso. Solo la carità, l’amore, cambia il cuore degli uomini e realizza nell’oggi il mistero della volontà di Dio che ci vuole nella gioia e vuole portare la nostra vita alla pienezza. E la carità non avrà fine.

Comunità di Sant’Egidio

La parola di Gesù chiede di prendere posizione

Se il brano dell’Antico Testamento contiene la vocazione profetica di Geremia, il passo lucano mostra Gesù che si presenta come profeta, ponendosi in continuità con i profeti Elia ed Eliseo; questa vocazione profetica comporta conflitti e scontri sia per Geremia (il cui invio in missione assomiglia a una partenza per la guerra: cf. Ger 1,17-19) che per Gesù, che già nella sinagoga di Nazaret incontra opposizione e rigetto (cf. Lc 4,28-30). Se Geremia è posto come “profeta per le genti” (Ger 1,5), Gesù, sulla scia di Elia ed Eliseo, proclama l’estensione dell’azione salvifica di Dio al di là di Israele (cf. Lc 4,24-27). La parola di Gesù è portatrice di un giudizio e chiede agli ascoltatori di prendere posizione. La parola che Gesù pronuncia è parola non accomodata, non adattata, non ha come fine di compiacere gli uditori, ma è parola che scomoda gli ascoltatori e mette in pericolo chi la pronuncia. La parola profetica può essere pronunciata solamente a caro prezzo. Essa ha la forza della verità che fa emergere ciò che abita nel cuore dei destinatari: meraviglia e ammirazione finché viene percepita come innocua e addomesticabile, odio e rigetto non appena mette in discussione le sicurezze acquisite e i privilegi di cui si gode. Essa è intollerabile perché costringe l’ascoltatore a fare i conti con le tenebre del proprio cuore: pur di evitare questa dolorosa presa di coscienza si rigetta l’intollerabilità su colui che tale parola ha pronunciato. Dietro la Parola che giudica vi è la presenza stessa di Gesù che suscita una presa di posizione: “Gesù è segno che sarà contraddetto affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). Sempre, di fronte a Gesù, si verifica una divisione tra chi lo accoglie e chi lo rifiuta, chi lo ascolta e chi lo bestemmia, perfino sulla croce (cf. Lc 23,39-43). Gesù obbliga a un’opzione, a una scelta. Incontrare Gesù significa essere condotti a fare verità nella propria vita accettando di riconoscere realisticamente il male che traversa o che occupa il nostro cuore: gelosia, invidia, odio. Il riconoscimento delle tenebre è la condizione per accedere alla luce. La frase di Gesù che commenta il testo di Isaia proclamato liturgicamente (cf. Lc 4,18-19; Is 61,1-2) esprime bene lo schema elementare e perenne di ogni omelia: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi” (Lc 4,21, traduzione letterale). La Scrittura, oggi, per voi: questi i tre elementi di ogni omelia. Essa verte su una pericope della Scrittura presentata dalla liturgia, traduce il suo messaggio nell’oggi e si rivolge a un uditorio preciso, alla comunità radunata. L’omelia è sempre una parola rivolta a, una parola indirizzata a un destinatario. E sempre un’omelia, che è compito profetico che traduce nell’oggi storico la Parola eterna di Dio contenuta nella Scrittura, cerca di porre la comunità di fronte alla presenza di Cristo: infatti, “Cristo è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura” (Sacrosantum concilium 7). Guidare la comunità a compiere il passaggio dalla pagina biblica alla presenza di Cristo è l’opera di ogni buona omelia. Proclamata la Scrittura, Gesù fa di sé un testimone della Scrittura stessa (e ogni omileta è chiamato a divenire testimone della Parola): dopo aver letto nel rotolo la vocazione del profeta veterotestamentario, presenta se stesso come profeta, ben sapendo che un profeta non trova accoglienza tra i suoi e nella propria patria. Ma se questo è vero del profeta, è vero anche di ogni cristiano: chi non conosce opposizioni e contraddizioni a causa della propria fede, in verità non è ancora entrato nella vita cristiana in profondità. Colui la cui parola è lodata e accettata da tutti e non incontra opposizioni o contestazioni, probabilmente è ancora lontano dalla parresia evangelica. Servire la Parola di Dio rende stranieri in rapporto alla patria e crea un’appartenenza altra. Il profeta parla la parola altra che è la Parola del Dio a cui egli appartiene e il destino della Parola diviene il suo stesso destino: “La Parola venne tra i suoi e i suoi non la accolsero” (Gv 1,11).

Comunità di Bose

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Lunedì 4 febbraio 2013

Annuncia loro la misericordia che il Signore ha avuto per te

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione –  gli rispose –  perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

Mc 5,1-20

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Martedì 5 febbraio 2013

Non temere, soltanto abbi fede!

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlava, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Mc 5,21-43

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Mercoledì 6 febbraio 2013

Si meravigliava della loro incredulità

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Mc 6,1-6

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Giovedì 7 febbraio 2013

Prese a mandarli a due a due

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Mc 6,7-13

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Venerdì 8 febbraio 2013

Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!». Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Mc 6,14-29

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Sabato 9 febbraio 2013

Venite in disparte e riposatevi un po’

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Mc 6,30-34

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