Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 19 al 25 maggio 2013

Santena – 19 maggio 2013 – Dis eguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 19 al 25 maggio 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 19 maggio 2013

Venne all’improvviso un vento e riempì tutta la casa

pentecosteMentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

At 2,1-11

Lo Spirito di Dio abita in voi

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Rm 8,8-17

Se uno mi ama verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Gv 14,15-16.23b-26

 

La presenza dello Spirito non è facilmente leggibile dagli uomini

Lo Spirito santo interiorizza nel credente la presenza di Cristo (vangelo) e diviene in lui testimonianza del suo essere figlio di Dio sicché può pregarlo invocandolo “Abbà”, “Padre” (II lettura). La presenza dello Spirito nel credente non è facilmente leggibile dagli uomini, anzi, come Cristo stesso suscita divisione tra gli uomini che incontra portandoli a una presa di posizione, così l’azione dello Spirito nel credente suscita una divisione tra chi se ne lascia interpellare e chi lo misconosce e lo svilisce (I lettura: “Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: ‘Che significa questo?’ Altri invece li deridevano e dicevano: ‘Si sono ubriacati di mosto’”: At 2,12-13). Mentre Gesù lascia i suoi e prende commiato da loro con il discorso di addio, in cui rivela ai discepoli le contrarietà e le tribolazioni che dovranno affrontare nel mondo, egli lascia loro anche il Paraclito (cf. Gv 14,16.26), ovvero, nel linguaggio giuridico dell’epoca, l’avvocato difensore, l’aiuto potente che li sosterrà nelle lotte che dovranno affrontare. Il dono del Paraclito abilita il cristiano alla lotta spirituale grazie alla quale soltanto viene preservata la fede che, nel mondo, è sempre minacciata. Gesù promette la sua preghiera per i discepoli con lo scopo di ottenere il dono dello Spirito: l’intercessione di Gesù incontra così la preghiera di domanda essenziale e irrinunciabile del credente: la preghiera che chiede lo Spirito. “Il Padre vostro celeste darà lo Spirito santo a coloro che glielo chiedono” (Lc 11,13). Il dono dello Spirito per i cristiani è dunque chiesto da Cristo nella sua qualità di intercessore ed è la cosa buona per eccellenza e veramente imprescindibile che il cristiano è chiamato a domandare nella sua preghiera. Ed è la preghiera che viene esaudita perché è domanda nel nome di Cristo. Lo Spirito infatti, è “l’altro Paraclito” (Gv 14,16), altro rispetto a Cristo stesso (cf. 1Gv 2,1). Se Cristo, in quanto Paraclito, è stato accanto ai suoi e con loro nel tempo della sua esistenza terrena, ora lo Spirito Paraclito sarà per sempre con i discepoli (cf. Gv 14,16) e sarà in loro (cf. Gv 14,17). Il compito dello Spirito, chiamato anche “Spirito di verità” (e per Giovanni la verità è la rivelazione cristologica), è di condurre il credente a un’assimilazione in profondità, un’interiorizzazione delle parole e dell’insegnamento di Gesù, dunque della sua stessa vita e presenza. Le funzioni dello Spirito sono: insegnare e ricordare (cf. Gv 14,26), dunque funzioni che orientano verso l’interiorità, l’edificazione di una vita interiore. Questo testo giovanneo sottolinea la dimensione interiore dell’azione dello Spirito, essenziale per una vita cristiana che voglia essere sacramento della presenza del Signore. Senza vita interiore animata dallo Spirito, la sequela di Cristo resta su un piano di pura esteriorità, la fede rischia di ridursi a gnosi, la speranza a ideologia, l’amore ad attivismo. Mi pare fondamentale ricordare che, soprattutto per la trasmissione della fede, è basilare aiutare il formarsi nei giovani di uno spazio interiore, di una capacità dialogica, riflessiva, una capacità di collegare interno ed esterno, emozioni sentite in sé ed eventi vissuti esteriormente, una capacità critica e di autoanalisi. Dunque, di aiutare lo sviluppo di una dimensione umana, umanissima, di interiorità. Non sarà certo ancora la vita spirituale cristiana, ma ne può costituire l’indispensabile fondamento umano. I movimenti del guardare dentro di sé, di ascoltare il proprio corpo, di nominare le proprie emozioni, di valutare le proprie azioni, di pensare e riflettere, di interrogarsi e porsi in questione, di stare in solitudine e di abitare il silenzio, sono movimenti umani tutt’altro che estranei alla vita spirituale cristiana. Questa nasce dall’ascolto della Parola di Dio e dall’accoglienza del dono dello Spirito. E l’uomo spirituale che nasce dalla Parola deposta nel suo cuore e fecondata dallo Spirito è l’uomo capace di amore, l’uomo che ama il Signore e anche i fratelli. È l’amore che garantisce l’autenticità dello spirituale cristiano.

Comunità di Bose

Lo Spirito del Signore supera limiti che sembrano invalicabili

“Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1). Erano passati cinquanta giorni dalla Pasqua e centoventi seguaci di Gesù (i Dodici con il gruppo dei discepoli assieme a Maria e alle altre donne), come ormai facevano abitualmente, erano radunati nel cenacolo. Dalla Pasqua in poi, infatti, non avevano smesso di ritrovarsi assieme per pregare, ascoltare le Scritture e vivere in fraternità. Questa tradizione apostolica non si è mai più interrotta, da allora sino ad oggi. Non solo a Gerusalemme ma in tante altre città del mondo i cristiani continuano a radunarsi “tutti assieme nello stesso luogo” per ascoltare la Parola di Dio, per nutrirsi del pane della vita e per continuare a vivere assieme nella memoria del Signore. Quel giorno di Pentecoste fu decisivo per i discepoli a motivo degli eventi che accaddero sia dentro che fuori del cenacolo. Narrano gli Atti degli Apostoli che, al mattino, “venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatteva gagliardo” sulla casa dove si trovavano i discepoli; fu una sorta di terremoto che si udì in tutta Gerusalemme, tanto da richiamare molta gente davanti a quella porta per vedere cosa stesse accadendo. Apparve subito che non si trattava di un normale terremoto. C’era stata una grande scossa, ma non era crollato nulla. Da fuori non si vedevano i “crolli” che stavano avvenendo dentro. All’interno del cenacolo, infatti, i discepoli sperimentarono un vero e proprio terremoto, che pur essendo fondamentalmente interiore, coinvolse visibilmente tutti loro e lo stesso ambiente. Videro delle “lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono sul capo di ciascuno di loro; ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue”. Fu per tutti – gli apostoli, i discepoli, le donne – un’esperienza che cambiò profondamente la loro vita. Forse ricordarono quello che Gesù aveva detto loro nel giorno dell’Ascensione: “Voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49) e le altre parole: “È meglio per voi che io me ne vada; poiché se non me ne vado, il Consolatore non verrà a voi” (Gv 16,7). Quella comunità aveva bisogno della Pentecoste, ossia di un evento che sconvolgesse profondamente il cuore di ciascuno, appunto come un terremoto. In effetti, una forte energia li avvolse e una specie di fuoco iniziò a divorarli nel profondo; la paura cedette il passo al coraggio, l’indifferenza lasciò il campo alla compassione, la chiusura fu sciolta dal calore, l’egoismo fu soppiantato dall’amore. Era la prima Pentecoste. La Chiesa iniziava il suo cammino nella storia degli uomini guidata dalla forza dello Spirito Santo. Il terremoto interiore che aveva cambiato il cuore e la vita dei discepoli non poteva non avere riflessi anche al di fuori del cenacolo. Quella porta tenuta sbarrata per cinquanta giorni “per paura dei giudei” finalmente venne spalancata e i discepoli, non più ripiegati su loro stessi, non più concentrati sulla loro vita, iniziarono a parlare alla numerosa folla sopraggiunta. La lunga e dettagliata elencazione di popoli fatta dall’autore degli Atti sta a significare la presenza del mondo intero davanti a quella porta. Ebbene, mentre i discepoli di Gesù parlano, tutti costoro li intendono nella propria lingua: “Li sentiamo annunciare ciascuno nelle nostre lingue le grandi cose che Dio ha fatto”, dicono stupiti. Si potrebbe dire che questo è il secondo miracolo della Pentecoste. Da quel giorno lo Spirito del Signore ha iniziato a superare limiti che sembravano invalicabili; sono quei limiti che legano pesantemente ogni uomo e ogni donna al luogo, alla famiglia, al piccolo contesto in cui si è nati e vissuti. E soprattutto terminava il dominio incontrastato di Babele sulla vita degli uomini. Il racconto della Torre di Babele ci mostra gli uomini protesi a costruire un’unica città che con la sua torre dovrebbe giungere sino al cielo. È l’opera delle loro mani, è il vanto di tutti i costruttori. Ma l’orgoglio, proprio mentre li univa, subito li travolse; non si compresero più l’uno con l’altro e si dispersero su tutta la terra (Gen 11,1-9). La dispersione della Torre di Babele è un racconto antico, ma in esso si descrive la vita ordinaria dei popoli sulla terra, spesso divisi tra loro e in lotta, tesi a sottolineare quel che divide piuttosto che quello che unisce. Ciascuno è rivolto solo ai propri interessi, senza badare al bene comune. La Pentecoste pone termine a questa Babele di uomini in lotta tra loro. Lo Spirito Santo effuso nel cuore dei discepoli dà inizio ad un tempo nuovo, il tempo della comunione e della fraternità. È un tempo che non nasce dagli uomini, sebbene li coinvolga e neppure sgorga dai loro sforzi, pur richiedendoli. È un tempo che viene dall’alto, da Dio appunto, come quelle fiamme di amore che si posarono sul capo di ogni discepolo. Era la fiamma dell’amore che bruciava ogni asperità e lontananza; era la lingua del Vangelo che varcava i confini stabiliti dagli uomini e toccava i loro cuori perché si commuovessero. Il miracolo della comunione inizia proprio a Pentecoste, dentro il cenacolo e davanti alla sua porta. È qui – tra il cenacolo e la piazza del mondo – che inizia la Chiesa: i discepoli, pieni di Spirito Santo, vincono la loro paura e cominciano a predicare. Gesù aveva detto loro: “Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 15,13). Lo Spirito è venuto e da quel giorno continua a guidare i discepoli per le vie del mondo. La solitudine e la guerra, la confusione e l’incomprensione, l’orfananza e la lotta fratricida, non sono più ineluttabili nella vita degli uomini, perché lo Spirito è venuto a “rinnovare la faccia della terra” (Sal 103,30). L’apostolo Paolo, nella Lettera ai Galati, esorta i credenti a camminare “secondo lo Spirito per non essere portati a soddisfare i desideri della carne… Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,19-21). E aggiunge: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Di questi frutti ha bisogno il mondo intero. La Pentecoste è l’inizio della Chiesa, ma anche l’inizio di un nuovo mondo. Ebbene, anche in questo inizio di millennio il mondo sta alle porte in attesa di una nuova Pentecoste. Lo Spirito Santo, come quel giorno di Pentecoste, è effuso anche su di noi perché usciamo dalle nostre grettezze e dalle nostre chiusure e comunichiamo al mondo l’amore del Signore. Anche a noi sono dati in dono la “lingua” del Vangelo e il “fuoco” dello Spirito, perché mentre comunichiamo il Vangelo al mondo scaldiamo il cuore dei popoli avvicinandolo al Signore.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 20 maggio 2013

Credo; aiuta la mia incredulità

In quel tempo, [Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni, scesero dal monte] e arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». Gridando, e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi. Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».

Mc 9,14-29

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Martedì 21 maggio 2013

Avevano discusso tra loro chi fosse più grande

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Mc 9,30-37

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Mercoledì 22 maggio 2013

Chi non è contro di noi è per noi

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».

Mc 9,38-40

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Giovedì 23 maggio 2013

Chi scandalizzerà uno di questi piccoli è meglio sia gettato in mare

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».

Mc 9,41-50

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Venerdì 24 maggio 2013

Non sono più due, ma una sola carne

In quel tempo, Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

Mc 10,1-12

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Sabato 25 maggio 2013

Lasciate che i bambini vengano a me

In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Mc 10,13-16

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