Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 14 al 20 luglio 2013

Santena – 14 luglio 2013 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 14 al 20 luglio 2013, tratte dalla liturgia del giorno con commento alle letture domenicali.



Domenica 14 luglio 2013

Questo comando non è troppo alto per te, né troppo lontano da te

volo nell'azzurroMosè parlò al popolo dicendo: «Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

Dt  30,10-14

In vista di lui sono riconciliate tutte le cose

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.

Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

Col 1,15-20

Amerai

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Lc 10,25-37

Il Signore Gesù è vicino, molto vicino

Il viaggio del Signore verso Gerusalemme, come ce lo presenta Luca in queste domeniche dell’anno, non è astratto e lontano dalla vita. Passa per le strade degli uomini e percorre le vie di questo mondo. Sin dall’inizio della sua vita pubblica, secondo l’evangelista Matteo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il Vangelo e curando ogni malattia e infermità (9,35). Di fronte al Vangelo e a Gesù stesso tornano in mente le parole del Deuteronomio: “Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire?” (30,12-13). Il Signore Gesù è vicino, molto vicino. La sua parola non è lontana, è concreta come la vita.
Così Gesù risponde a un dottore della legge che, come quelli che non vogliono capire, gli chiede chi sia il suo prossimo. Costui interroga Gesù con parole alte e anche vere: “Maestro, che debbo fare per ereditare la vita eterna?” (v. 25). Sono parole che anche altri avevano detto a Gesù (ricordiamo il giovane ricco), ma non c’era sincerità nel cuore di quel dottore della legge. Alla risposta di Gesù sul primato del comandamento dell’amore, egli tenta di giustificarsi: “Chi è il mio prossimo?” (v. 29). Gesù, come nel caso del giovane ricco, non gli risponde con un discorso che è al di là del cielo o al di là del mare. Inizia dicendo che “un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico e incappò nei briganti” (v. 30). Parla di una strada che tutti conoscevano e narra un fatto che probabilmente spesso capitava: un uomo viene rapinato, malmenato e lasciato mezzo morto lungo la strada. Quest’uomo è solo, ma in lui vediamo tanti altri uomini e donne, piccoli e grandi, giovani e anziani, lasciati mezzi morti lungo le strade di questo mondo. Accanto a lui ci sono i milioni di profughi che fuggono dalle loro terre, i condannati a morte isolati da tutti, ci sono talora popoli interi schiacciati dalla guerra e lasciati soli ai margini della storia, così come tutti coloro che muoiono di fame e di torture, di violenza e di abbandono. Quella strada è davvero larga. E ugualmente alto è il numero dei sacerdoti e dei leviti che continuano a camminare e ad andare oltre, dalla parte opposta a quella dei poveri. Il Vangelo nota che quei due passavano per quella “medesima strada”; quasi a dire che quell’uomo mezzo morto non era sconosciuto e lontano tanto da non accorgersene. I poveri sono ormai conosciuti, la televisione e i giornali ne parlano, non sono più lontani. Eppure, come annebbiati da una triste abitudine, normalmente si passa dall’altra parte, diretti verso altri interessi.
Il sacerdote e il levita non amavano che se stessi e i propri impegni rituali. È facile pensare che dovessero andare al tempio e quindi non potevano “sporcarsi le mani” con quel ferito. Sapevano che c’erano i poveri e forse avevano anche aiutato qualcuno di quelli che sostavano nelle vicinanze del tempio. Ma lungo quella strada non potevano fermarsi. E poi chi era quello straniero? Magari non parlava la loro lingua, era un estraneo. Quante motivazioni salgono nel cuore e nella mente mentre si passa accanto a costoro! E non ci si ferma, perché vince sempre la preoccupazione per sé e per la propria sicurezza. Del resto chi è preso da sé non sente che se stesso e vive senza compassione per gli altri. Tutti sappiamo per esperienza quanto siamo pronti a commuoverci per noi e quant’è difficile commuoversi per gli altri! Il sacerdote e il levita non si commossero e quell’uomo mezzo morto restò solo. Per fortuna passò il samaritano il quale, appena vide l’uomo mezzo morto, ne ebbe compassione, scese da cavallo, gli si avvicinò, gli diede le prime cure e poi lo portò in una locanda. Tante generazioni cristiane hanno visto Gesù stesso in quel samaritano rivoltatosi contro l’indifferenza del mondo. Gesù, sta scritto, prese a guarire quanti avevano bisogno di cure, ebbe compassione delle folle stanche, sfinite, abbandonate come pecore senza pastore. Gesù è il compassionevole. Infatti, “pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, spogliò se stesso, assumendo la condizione di schiavo” (Fil 2,6).
E ai discepoli di ogni tempo, noi compresi, lascia in eredità la sua compassione perché continuiamo come lui a fermarci ai bordi delle strade della vita e a raccogliere coloro che hanno bisogno di salvezza. È lui infatti che in questi anni della nostra storia ci ha indicato i poveri mezzi morti lungo il nostro cammino e ci ha insegnato a fermarci. È lui che ci ha aperto gli occhi perché non fossimo ripiegati su noi stessi. È lui che tante volte ha portato sino alla nostra porta i poveri perché li accogliessimo. Sì, quella locanda di cui parla il Vangelo e a cui il Signore porta quell’uomo mezzo morto siamo anche noi, è la comunità dei discepoli. Il Signore Gesù, come il buon samaritano, affida a noi, albergatori di questa locanda, quell’uomo mezzo morto, esausto, ferito. E continua a ripeterci, ogni giorno: “Abbi cura di lui!”. E non solo. Ci dà anche due denari. Sì, bastano davvero due denari della compassione di Gesù per aiutare, confortare e guarire i deboli. E poi aggiunge ancora: “Ciò che spenderai di più, te lo rifonderò al mio ritorno” (v. 35).
Se c’è bisogno di più compassione, Gesù stesso continuerà a darcela. Quel che conta è essere sempre pronti alla porta, attenti al samaritano che bussa. Questo è il senso della nostra vita nel mondo, essere come quella locanda evangelica, scuola di compassione e di amore, capace di accogliere e custodire i poveri e i deboli. Il Signore, affidandoceli, ci strappa dal destino triste di quel sacerdote e di quel levita, uomini freddi e infelici e ci rende partecipi del suo amore e della festa che si vive in quella locanda. Sì, è la festa degli umili e dei deboli che sono raccolti dal Signore. In questa domenica, il buon samaritano torna in mezzo a noi ancora una volta. Torna come maestro di carità, perché ognuno di noi impari a seguire le sue orme, apra le mani per ricevere i due denari e apra il cuore per vivere la sua compassione. E sentiremo ancora forte l’invito evangelico: “Va e anche tu fa’ così” (v. 37).

Comunità di Sant’Egidio

Tocca a te farti prossimo di chi è nel bisogno

Il primato della prassi: così potremmo intravedere l’unità tra prima lettura e vangelo. Il comando di Dio (ovvero la rivelazione divina contenuta nell’intero Deuteronomio, e dunque tutta la Legge) è praticabile, è fattibile, anzi può e deve essere messo in pratica, altrimenti esso non viene adeguatamente compreso. La Scrittura è data per essere vissuta: vivere la Parola è il criterio per comprenderla (I lettura). La pagina evangelica mostra che si può conoscere che l’intera rivelazione di Dio contenuta nella Scrittura si sintetizza nel comando di amare Dio e il prossimo e non trarne le conseguenze, ma disimpegnarsi, evadere dalla prassi. Dicendo “Hai risposto bene (orthôs); fa’ questo e vivrai” (Lc 10,28), Gesù incita il dottore della Legge a passare da una sterile ortodossia all’ortoprassi, unico piano di autentificazione della comprensione delle Scritture. E di fronte alla sua domanda: “Chi è il mio prossimo?”, Gesù narra la parabola del Samaritano anch’essa ben compresa dal suo interlocutore, ma la conclusione di Gesù è la medesima: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (vangelo). L’ascolto della Parola tende a coinvolgere il corpo del credente, chiamato ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le sue forze e il prossimo come se stesso. Sintetizza Agostino: “Non chiederti: chi è il mio prossimo? Tocca a te farti prossimo di chi è nel bisogno”. La continuità tra il dialogo tra Gesù e il dottore della Legge sulla Legge e la parabola del Samaritano dice che la pagina biblica così come il volto dell’altro nel bisogno sono appello a vivere la carità, sono appello alla responsabilità nei confronti dell’altro uomo. Siamo di fronte alla denuncia della divisione che spesso ci abita: non facciamo l’unità tra sapere e fare, tra corpo scritturistico e corpo umano sofferente, tra spirito e mano. A differenza del sacerdote e del levita che, visto l’uomo ferito, passano dall’altra parte della strada, il Samaritano accetta di incontrare l’uomo moribondo e di lasciarsi scomodare da lui. Credo che per leggere onestamente la parabola dobbiamo non tanto identificarci con il protagonista positivo, ma comprendere che di noi fanno parte anche il sacerdote e il levita e che i tre personaggi sono momenti di un unico faticoso movimento verso la vera compassione. Ovvero, per arrivare a “fare compassione” (Lc 10,37; non “provare” o “sentire”, ma mettere in pratica, far avvenire la compassione sul piano della prassi: fecit misericordiam, traduce Gerolamo), occorre riconoscere le opposizioni che in noi sorgono alla compassione e alla solidarietà. La compassione è il sottrarre il dolore alla sua solitudine e dire al sofferente: Tu non sei solo perché la tua sofferenza è, in parte, la mia. Il testo ci spinge a porci una domanda: perché a volte ci voltiamo dall’altra parte di fronte a un sofferente, perché non vogliamo incontrarlo? La solitudine del sofferente ci fa paura, di spaventa, ci turba: per incontrare il sofferente occorre incontrare anche la propria paura, incontrare in sé stessi la propria solitudine che spaventa. Allora potrà sorgere in noi la solidarietà e la compromissione attiva. L’impotenza del sofferente, del morente (l’uomo percosso dai briganti è “mezzo morto”: Lc 10,30) ha la paradossale forza di risvegliare l’umanità dell’uomo che riconosce l’altro come un fratello proprio nel momento in cui non può essere strumento di alcun interesse. In questo, la compassione è un gesto di radicale umanità e gratuità. Se è vero che la parabola insegna a farsi prossimo, essa rivela anche, tra le righe, che il sofferente, nella sua impotenza, rende chi gli si fa vicino capace di divenire compassionevole come Dio è compassionevole (cf. Lc 6,36). Non vi è forse un rimando all’esperienza che ci porta a dire che, stando vicino a un malato o a un morente, è più ciò che abbiamo ricevuto di ciò che abbiamo dato? E non vi è, soprattutto, un velato riferimento alla potenza della debolezza del Crocifisso? È nell’impotenza della croce, certo, abbracciata da Cristo nella libertà e per amore, che egli ci ha narrato l’amore universale di Dio.

Comunità di Bose

**

Lunedì 15 luglio 2013

Non sono venuto a portare pace sulla terra

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Mt 10,34-11,1

**

Martedì 16 luglio 2013

Si mise a rimproverare le città

In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!».

Mt 11,20-24

**

Mercoledì 17 luglio 2013

Hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Mt 11,25-27

**

Giovedì 18 luglio 2013

Imparate da me, che sono mite e umile di cuore

In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Mt 28-30

**

Venerdì 19 luglio 2013

Misericordia io voglio e non sacrifici

In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato». Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Mt 12,1-8

**

Sabato 20 luglio 2013

Non spezzerà una canna già incrinata

In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: «Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni».

Mt 12,14-21

**