Una pausa per lo spirito – Proposte di riflessione per i giorni dal 25 al 31 agosto 2013

Santena – 25 agosto 2013 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 25 al 31 agosto 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 25 agosto 2013

Ricondurranno i vostri fratelli da tutte le genti

DSC_0156Così dice il Signore: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore. Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».

Is 66,18-21

Il Signore corregge chi ama

Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio». È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

Eb 12,5-7.11-13

Sforzatevi di entrare per la porta stretta

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Lc 13,22-30

Dio non nasconde il suo progetto di salvezza

La liturgia di questa domenica si apre con la visione della salvezza come viene intesa da Dio: “lo, dice il Signore, verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria” (Is 66,18). Dio, potremmo dire, non nasconde il suo progetto di salvezza, ossia di fare una sola famiglia di tutti i popoli della terra; anzi, lo mostra sin dai tempi della prima alleanza con Israele. Isaia, infatti, sebbene parlasse solo al popolo d’Israele, prefigurava il giorno in cui tutti i popoli della terra si sarebbero raccolti sul monte santo per lodare l’unico Signore. In verità, già nella prima pagina della Scrittura appare con evidenza questo respiro universale di salvezza: in Adamo ed Eva sono raccolti tutti gli uomini e tutte le donne, di ogni terra e di ogni tempo. E Noè, salvato dal diluvio, riceve da Dio un patto di alleanza a nome dell’intera umanità. Il Signore da sempre è amico dei popoli e sin dalle origini vuole la salvezza di ogni uomo e di ogni donna. La salvezza è un dono del cielo per tutti; e a tutti il Signore vuole darla. Nessuno, tuttavia, può reclamarla per diritto, o appropriarsene per nascita o per mera appartenenza esteriore. La salvezza non è proprietà di una etnia, di un gruppo, di una comunità, di un popolo, di una nazione, di una civiltà.
Il Vangelo di Luca, annunciato in questa domenica, fa domandare a Gesù: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (13,23). L’opinione corrente, in verità, si basava sulla convinzione che bastasse appartenere al popolo eletto per partecipare al regno futuro. Questa domanda, invece, sembra suggerire che non basta appartenere al popolo eletto per ottenere la salvezza. Gesù è d’accordo, ma va oltre. Non risponde direttamente all’interlocutore e si rivolge a tutti dicendo: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno” (v. 24). Gesù sottolinea che la porta è stretta, ma è ancora aperta; tuttavia il tempo si è fatto breve e sta per essere chiusa. Bisogna perciò entrare, perché il padrone di casa “si alzerà e chiuderà la porta”. E se si resta fuori, magari perché si indugia troppo nelle proprie cose, non è più sufficiente mettersi a bussare ripetutamente, vantando appartenenze, consuetudini, e persino benemerenze. Il padrone non aprirà.
Ecco perciò la questione centrale posta da Gesù attraverso l’immagine della porta: è urgente aderire al Vangelo. Quindi la salvezza non consiste nell’essere membro di un popolo e neppure nella semplice appartenenza a una comunità. Non è questione di partecipare a dei riti (fosse anche quello domenicale!), ma aderire subito al Signore con tutto il cuore e con tutta la vita. Anche nella Chiesa può allignare la stessa consuetudine rimproverata al fariseismo: vivere con la superbia e la sicurezza di non dover correggere nulla dei propri comportamenti; vivere osservando pratiche esteriori, ma avendo il cuore indurito, lontano da Dio e dagli uomini. Mentre l’indifferenza sembra prendere il sopravvento e l’abitudine a rinchiudersi in se stessi pare rafforzarsi, è davvero urgente che ognuno ritrovi la sua profondità spirituale nell’ascolto fedele del Vangelo, nel servizio ai più poveri e nella vita fraterna tra tutti. Non di rado, invece, i singoli credenti, come anche le stesse comunità cristiane, si lasciano sorprendere dalla mentalità gretta ed egoista di questo mondo e si rinchiudono nel proprio particolare e nei propri problemi.
Lo sappiamo per esperienza: la porta dell’egoismo è larga, sempre spalancata e attraversata da moltissimi. Ha ragione perciò la Lettera agli Ebrei a ricordarci la correzione. Sì, la correzione del nostro cuore, dei nostri comportamenti. E la porta è il Vangelo. È vero che è stretta, ma non in se stessa. È stretta rispetto ai numerosi e lunghi rami spuntati dal nostro egoismo. Per entrare attraverso questa porta è necessario tagliare i rami dell’orgoglio, dell’odio, dell’avarizia, della maldicenza, dell’indifferenza, dell’invidia, e tanti altri ancora. Questi rami si sono sviluppati e infoltiti a tal punto da renderci quasi impossibile l’ingresso per quella porta. Chi accoglie il Vangelo con il cuore, viene come potato. Ed è vero, come scrive la Lettera agli Ebrei, che “sul momento non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia” (v. 11). E il frutto è entrare nella grande sala preparata dal Signore, dove “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio” (Lc 13,29). Noi già da ora, in questa santa liturgia, possiamo gustare questa festa e gioirne con uomini e donne che prima ci erano estranei e ora sono divenuti fratelli e sorelle partecipi dell’unica famiglia di Dio. Perciò Gesù può ripetere a noi quello che già disse a coloro che lo ascoltavano: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l’udirono” (Lc 10,23-24).

Comunità di Sant’Egidio

Egli chiede alle persone sforzo e lotta

Un raduno universale di popoli che trova in Gerusalemme il suo punto di incontro (I lettura) e la venuta escatologica di popoli che trovano in Gesù la porta stretta che dà accesso alla salvezza (vangelo); se Dio sceglierà sacerdoti e leviti anche tra popoli pagani (I lettura), le genti che verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno sederanno a mensa nel Regno di Dio (vangelo); se l’universale via alla salvezza passa attraverso Gerusalemme (I lettura), essa, specifica il vangelo, passa attraverso la porta stretta che è Gesù (“Io sono la porta”: Gv 10,7). Gesù sta camminando verso Gerusalemme: sta seguendo il cammino stretto e angusto che lo porterà alla croce salvifica. Se egli chiede alle persone sforzo e lotta (il verbo greco usato in Lc 13,24 è agonízomai) per entrare attraverso la porta stretta che conduce alla vita, lui stesso dovrà lottare, entrare nello sforzo e nel combattimento spirituale (agón: Lc 22,44) per assumere l’evento doloroso della croce. Gesù vive in prima persona ciò che predica e che chiede ad altri. La vita di fede richiede anche sforzo, fatica, lotta. Dunque anche sofferenza. Non che questo sforzo arrivi a meritare la salvezza, ma è il disporre tutto da parte dell’uomo affinché la grazia della salvezza possa trovare un cuore ben disposto ad accoglierla. La rimozione della fatica e della sofferenza dalla vita e dalla fede stessa è una tentazione. Per Paolo la fede è chiamata a divenire lotta: egli parla della “lotta (agón) della fede” (1Tm 6,12), la definisce “bella” (1Tm 1,18), cioè positiva e diversa da tutte le battaglie mondane, le crociate ideologiche e le contese con altre creature o gruppi umani. L’unica battaglia che nasce legittimamente dalla fede e anzi è esigita dalla fede, è la battaglia che sgorga dal battesimo e dall’aver rivestito Cristo: si combatte con armi spirituali (preghiera, pazienza, sobrietà, temperanza, dominio di sé…), contro il peccato (cf. Eb 12,1), il Maligno (cf. Ef 6,16) e non contro uomini o con armi e mezzi mondani (cf. Ef 6,12; 2Cor 10,3). Per Gesù la preghiera sarà la forma dello sforzo, del combattimento che al Getsemani egli condurrà e in cui troverà forza per proseguire il suo cammino (Lc 22,43: l’angelo gli “dà forza”, lo “corrobora”; verbo enischýo); così egli invita ora chi vuole percorrere il cammino della salvezza a sforzarsi e combattere perché molti “non avranno la forza” (verbo ischýo: Lc 13,24) di entrare attraverso la porta stretta della salvezza. Se la porta della salvezza necessita di uno sforzo, essa abbisogna anche di altro. Essa infatti ha un padrone che la può aprire e chiudere. Per entrare occorre la conoscenza del padrone, l’intimità con lui, la buona relazione con lui. La salvezza è questione di relazione. Relazione che inizia già qui e ora con il Signore Gesù e che spera di divenire comunione con lui per sempre. Lo sforzo richiesto al credente è allora anche la salutare inquietudine di chi non ritiene di essere garantito – quanto alla salvezza – dalla propria appartenenza ecclesiale o dalla propria frequentazione sacramentale (mangiare e bere in presenza del Signore può anche alludere all’Eucaristia). Il giudizio del Signore spiazza certezze e convinzioni umane e disloca le posture assunte: chi riteneva di essere vicino a lui (v. 26) viene svelato essere uno sconosciuto per Gesù; altri che erano distanti e non conoscevano Gesù diventano i suoi commensali nel banchetto del Regno (vv. 28-29). I primi diventano ultimi e gli ultimi primi (v. 30). Vi è una postura richiesta dalla relazione con il Signore: l’umiltà, l’ultimo posto, la non presunzione di sé e la non pretesa. L’immagine del convito escatologico estende a livello universale ciò che Gesù ha vissuto nelle contrade della Giudea e della Galilea quando viveva la commensalità con pubblicani e peccatori e quando la sua pratica di umanità narrava che cos’è una vita redenta e salvata: una vita umanamente piena e dedita all’amore, una vita obbediente nella gioia alla volontà di Dio, una vita capace di amare la terra e gli uomini e di servire nella libertà e per amore Dio, il Padre.

Comunità di Bose

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Lunedì 26 agosto 2013

Guai a voi che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi.

Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso».

Mt 23,13-22

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Martedì 27 agosto 2013

Guai a voi che trasgredite la giustizia, la misericordia e la fedeltà

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

Mt 23,23-26

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Mercoledì 28 agosto 2013

Assomigliate a sepolcri imbiancati

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».

Mt 23,27-32

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Giovedì 29 agosto 2013

Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Mc 6,17-29

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Venerdì 30 agosto 2013

Cinque di esse erano stolte e cinque sagge

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Mt 25,1-13

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Sabato 31 agosto 2013

Chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni: secondo le capacità di ciascuno

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Mt 25,14-30

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