Santena – 29 settembre 2013 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 29 settembre al 5 ottobre 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 29 settembre 2013
Guai a quelli che si considerano sicuri
Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Am 6,1.4-7
Tu, uomo di Dio, evita queste cose
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo. A lui onore e potenza per sempre. Amen.
1 Tm 6,11-16
Ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Lc 16,19-31
Appare con estrema evidenza la predilezione di Dio
Oggi è la domenica del povero Lazzaro, di colui che giace alla porta del ricco, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cade dalla mensa. Nell’ultimo saluto durante i funerali preghiamo augurando al defunto di poter “con Lazzaro, povero in terra godere il riposo eterno del cielo”. Il Vangelo vuole che incontriamo oggi i tanti poveri Lazzaro, ci insegna a commuoverci delle loro piaghe, a scandalizzarci per la fame. Accorgiamoci di lui, perché Lazzaro ci accoglierà nel cielo, intercederà per noi. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere”. Gesù vuole che gli uomini non vivano “spensierati”, da buontemponi, come dice il profeta Amos, che sciupano la vita e pensano che tutti siano come loro. Da “spensierati” si accetta un mondo di sofferenza e si costruisce un abisso d’amore che non si può più colmare. Il contrario di un cuore spensierato e superficiale non è una vita da eroi o agitata: è un cuore umano e buono.
“C’era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente”. Quest’uomo, senza nome, non è descritto come uno sprecone, e neppure come uno sfruttatore dei suoi servi. È uno come tutti e si comporta nello stesso modo di quelli della sua condizione: vive spensieratamente la sua ricchezza. Il problema sta nel prosieguo della narrazione: “Un mendicante di nome Lazzaro giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco”. L’evangelista in questo caso, riporta il nome, Lazzaro, e marca la differenza tra la sua situazione e quella del ricco. Questo quadro, che contrappone senza mezzi termini la vita consumista da una parte e la miseria più nera dall’altra, non era affatto considerato un’ingiustizia dalla teologia degli scribi. E non ritenendola tale, con facilità si tranquillizzava la coscienza con la dottrina dell’elemosina. Insomma, allora come oggi, si trovano le ragioni per far restare le cose come sono, per non cambiare neppure una palese ingiustizia come quella descritta dal Vangelo. Dopo la morte dei due protagonisti, si apre una scena completamente diversa. Ma questa volta appare chiaro quale sia il pensiero di Dio e il suo giudizio. Il ricco e Lazzaro sono ambedue “figli di Abramo”. Ma Lazzaro siede con questi alla mensa celeste; il ricco, non accolto nei tabernacoli eterni, è caduto nel luogo dei tormenti.
Se il ricco avesse aiutato Lazzaro, costui l’avrebbe accolto nel cielo. Ma solo ora comprende la verità della vita; ed è troppo tardi. Implicitamente, il ricco ammette l’inevitabilità della sua attuale triste condizione, come prima accettava tranquillamente la sua spensieratezza e le sue vesti di porpora e bisso; non chiede infatti di cambiare luogo ma solo di poter essere sollevato un poco; gli basterebbe toccare con la lingua un dito bagnato nell’acqua. Ma anche questo è impossibile; neppure Dio può superare l’abisso che l’uomo si costruisce attorno. Eppure, in questo mondo si continua la creazione di abissi tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, tra etnia ed etnia e, infine, sul piano planetario, tra paesi ricchi e paesi poveri. Lazzaro è il barbone accanto a noi, è lo straniero, è una etnia oppressa, è un popolo violentato e sfruttato. Dalla parabola, tuttavia, appare con estrema evidenza la predilezione di Dio per Lazzaro e per chi è, in ogni tempo della storia e in ogni parte del mondo, nelle sue stesse condizioni.
Il ricco e il povero muoiono. Ed il mondo si rovescia. Come nelle beatitudini: beato diventa il povero, mentre il ricco rimane solo con la sua ricchezza che non scalda, non soddisfa, tormenta. Il mondo alla rovescia è Lazzaro con Abramo, nel seno d’Abramo; mentre il ricco rimane senza qualcuno che lo accoglie, senza consolazione; era sazio ed ora ha fame; rideva ed ora piange. I tormenti del ricco di cui parla il Vangelo non sono una minaccia. Gesù non spaventa, anzi rassicura gli uomini. Ma il Signore cerca di spiegare la vita così com’è davvero. Svela al ricco che non è nella ricchezza che trova la gioia ed il futuro. E che senza l’altro rimane solo e si costruisce un inferno. Che fare? C’è speranza per il ricco? Può cambiare il ricco? Questa domanda angustia non poco Gesù. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli, dirà. Amò quell’uomo ricco ma non fu amato. Che fare? Dobbiamo colmare tanti abissi d’ignoranza, di distanza, di parole che mancano, di mani che non si tendono, di consolazione che viene negata. Colmiamo questi abissi, come l’amministratore disonesto, investendo in misericordia; come il Samaritano, che con la compassione vuole bene ad uno sconosciuto e lo fa diventare il suo prossimo. Gesù sembra insistere, descrivendo la risposta d’Abramo al ricco, che non abbiamo bisogno di fatti miracolosi per convertire il cuore, per colmare questi abissi. Basta il Vangelo, che apre il cuore degli uomini e lo rende umano e vicino agli altri.
Comunità di Sant’Egidio
Perché non cercare l’essenziale, ciò che veramente ha senso?
L’ingiustizia rappresentata da uno stile di vita preoccupato del proprio benessere e totalmente insensibile alle sofferenze e ai bisogni dei poveri: questa la denuncia del profeta Amos e il sottofondo della pagina evangelica. Dai testi emerge la domanda: chi è l’altro per me? E soprattutto, tra gli altri, il povero, l’ultimo, il reietto. Quale responsabilità accetto di assumere nei confronti di chi è povero, bisognoso, e con la sua miseria è grido che chiede aiuto e che mi interpella? Ma i testi annunciano anche il giudizio che colpirà chi, vivendo nel lusso e nell’esibizione sfacciata della propria ricchezza, finisce nell’incoscienza di chi dimentica l’umanità del fratello povero e obnubila anche la propria umanità. Giudizio storico in Amos (“andranno in esilio in testa ai deportati”: Am 6,7), giudizio escatologico in Luca (il ricco si trovò “nell’inferno, tra i tormenti”: Lc 16,23), sempre viene affermato che Dio non è indifferente al male e all’ingiustizia, ma se ne fa vindice. Se il nome del povero mendicante è Lazzaro (che significa “Dio aiuta”), il nome del ricco non è ricordato, anzi è espropriato dalla sua stessa ricchezza: egli è il “ricco” (vv. 19.22). La vertigine che può dare il possedere molto rischia di rendere il ricco spossessato di sé, dimentico dell’essenziale perché sedotto dal troppo delle cose che possiede e che illudono di sfuggire la morte. Banchettare tutti i giorni, significa sfuggire l’ordine dei giorni, l’economia della successione feria – festa, rendere festa anche la feria, entrare in un eccesso che si sottrae ai limiti della quotidianità. Il troppo del ricco gli impedisce di vedere il troppo poco di Lazzaro che dalla violenza della vita e dall’indifferenza degli uomini “è gettato” presso l’atrio della sua casa: segno di una contiguità dei poveri alla tavola dei ricchi da cui tuttavia sono sadicamente e consapevolmente esclusi, tanto nella parabola lucana come nella situazione storica attuale. La pagina evangelica ci mette in guardia da un rischio grave: che la presenza del povero diventi un’abitudine, e non susciti più scandalo né indignazione.
La morte è un protagonista importante della parabola. Preziosa memoria dei limiti che scandiscono l’avventura umana, essa è spesso rimossa dalla nostra coscienza grazie a comportamenti che ci illudono di immortalità. Possedere molti beni, uno stile di vita lussuoso che si manifesta nella qualità degli abiti e nel quotidiano banchettare lautamente senza mai condividere, è tentativo tanto seducente quanto illusorio di sfuggire all’angoscia della morte. Inoltre, l’ineluttabilità della morte dovrebbe insegnare qualcosa a ogni creatura umana. Viviamo pochi giorni su questa terra: perché non cercare l’essenziale, ciò che veramente ha senso? Perché non cercare di praticare la giustizia e la condivisione, l’amore e la compassione? Perché non ricercare l’incontro e la relazione? La scena surreale del dialogo tra il ricco che dai tormenti si rivolge ad Abramo perché mandi Lazzaro ad avvertire i suoi fratelli di cambiare vita istruendoli su ciò che li aspetta nell’al di là, presenta più di un motivo di interesse. La risposta di Abramo sottolinea il fatto che nella vita può esserci un troppo tardi. Occorre vivere il momento presente come l’oggi di Dio. Occorre entrare nella coscienza che il momento presente è l’occasione in cui posso vivere il tutto dell’amore, della fedeltà al Vangelo, è il momento in cui mi gioco tutto. Aderire all’oggi, al momento presente, senza fughe in avanti e senza comportamenti che stordiscono e fanno evadere la realtà, è sapienza. Ma tale risposta ricorda anche che la fede non si fonda su miracoli o su eventi straordinari: “se qualcuno dai morti andrà dai viventi essi si convertiranno” dice il ricco. Abramo risponde abbattendo quest’ultima illusione: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi” (Lc 16,31). Ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture e accoglienza del Signore che ci visita nel povero, sono le realtà da mettere in pratica qui e ora, oggi, sulla terra. Realtà ordinarie, ma su cui si gioca il giudizio finale.
Comunità di Bose
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Lunedì 30 settembre 2013
Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande
In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
Lc 9,46-50
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Martedì 1 ottobre 2013
Essi non vollero riceverlo
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Lc 9,51-56
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Mercoledì 2 ottobre 2013
Chi è più grande nel regno dei cieli?
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Mt 18,1-5.10
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Giovedì 3 ottobre 2013
Sappiate però che il regno di Dio è vicino
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
Lc 10,1-12
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Venerdì 4 ottobre 2013
Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Mt 11,25-30
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Sabato 5 ottobre 2013
Le hai rivelate ai piccoli
In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Lc 10,17-24
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