Santena, 2 novembre 2013 – Di seguito una riflessione sulla memoria dei morti, proposta dalla Comunità di Bose
2 novembre 2013
La memoria dei morti ci fa rientrare in noi stessi
Facendo memoria dei morti noi ascoltiamo la Parola di Dio che anzitutto presenta la morte di Gesù come evento che ha narrato l’amore di Dio. La morte di Gesù, compimento di una vita segnata dall’amore, diviene apertura di speranza e di vita per i credenti in lui: la morte è trasfigurata quando diviene un atto di amore. L’amore di Dio e di Gesù è all’origine della resurrezione: la resurrezione è atto di amore. E la resurrezione è la promessa che Gesù fa nei confronti degli uomini, di coloro che Dio gli ha dato e che egli non perderà ma risusciterà nell’ultimo giorno. Si manifesta così la realizzazione dell’anelito di Giobbe che proclama la sua fiducia nel suo Redentore e in una comunione con il suo Signore dopo la morte. Noi non abbiamo parola che siano all’altezza di un evento così grave e importante come la morte. Il ricordo dei morti suscita il silenzio come linguaggio adeguato, linguaggio che ha in sé un profondo potere di concentrazione e di semplificazione, di riduzione all’essenziale, di verità. Nel silenzio è possibile ascoltare quella parola originaria che per gli umani è la morte, diviene possibile ascoltare la parola insita nella memoria dei volti e dei nomi di quanti abbiamo amato e che ora non ci sono più, diviene possibile ascoltare quella Parola fondante che è il Cristo, il Verbo fatto carne, Parola di Dio la cui voce trapassa la morte e che anche i morti ascolteranno (cf. Gv 5,25). La memoria dei morti ci fa rientrare in noi stessi e ci convince che la morte è la porta stretta della verità. La memoria di tutti i morti passa forzatamente per noi, attraverso la memoria di alcune persone care e amate che ci hanno lasciato e che, morendo, hanno fatto morire anche qualcosa di noi. E in tale memoria esse ci indicano la via della vita, l’essenziale del vivere: l’amore. Così noi assistiamo all’umanissimo e dolente miracolo per cui coloro che, morendo, hanno fatto fare a noi vivi un’esperienza della morte, costoro, nel nostro silenzioso ricordo, ritrovano parola in noi e ci guidano al centro dell’esistenza, ci fanno conoscere noi stessi (se qualcuno vuole conoscersi si interroghi sulla morte), ci insegnano a vivere, cioè ad amare quei volti e quei nomi che ci stanno accanto, che hanno vincolato e accordato la loro vita alla nostra. È attraverso l’esperienza di perdite, di interruzioni, di separazioni, di distacchi, di lutti, che scopriamo la preziosità dell’altro per noi, l’essenzialità dell’amore come unico necessario, come unica parola che può dar senso al vivere e al morire. Ed è attraverso la perdita radicale, la nostra morte, che noi potremo vedere faccia a faccia Colui che non perde nessuno di quanti il Padre gli ha affidato, Colui il cui amore è più forte della morte (cf. Gv 6,39).
Una poesia di Rainer Maria Rilke dice: “Concedi, Signore, a ciascuno la sua morte, il morire che fiorì da quella vita, in cui ciascuno trovava amore, senso, sofferenza”. Per molti questa preghiera resta inesaudita. Ma l’essenziale è che anche nella discontinuità tra modo della morte e modo della vita, tra modalità della morte e vita vissuta, quest’ultima sia stata traversata dall’amore, abbia obbedito all’amore, abbia conosciuto qualcosa dell’amore, abbia sofferto, anelato, desiderato, cercato, donato amore. Allora si delineerà la continuità veramente importante, quella tra l’amore di Dio e le nostre esperienze di amore, anche le nostre esperienze misere di amore, le nostre carenza di amore, l’amore tradito e ferito, l’amore sottratto, il poco amore. Ciò che è salvifico è l’amore di Dio che ci ha creati e che ci accoglie richiamandoci a sé attraverso la morte e donandoci la vita eterna in Gesù Cristo. Ascoltare il ricordo dei morti in Cristo ci porta ad ascoltare la parola unica e vivificante dell’amore, dell’amore di Cristo, dell’amore in Cristo, dell’amore per Cristo. “Chi ascolta la mia parola”, dice Gesù, “è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24). Gli fa eco il discepolo amato: “Chi ama i fratelli è passato dalla morte alla vita” (cf. 1Gv 3,14). Amare, qui e oggi, è per il credente testimonianza della resurrezione.
Comunità di Bose