Santena – 22 dicembre 2013 – Alcune proposte di riflessione per i giorni dal 22 al 28 dicembre 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 22 dicembre 2013
Il Signore stesso vi darà un segno
In quei giorni, il Signore parlò ancora ad Àcaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».
Is 7,10-14
Amati da Dio e santi per chiamata
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
Rm 1,1-7
Giuseppe suo sposo era uomo giusto
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Mt 1,18-24
A Natale si deve sognare in grande
La Liturgia di oggi ci accompagna sino alla soglia del Natale, quasi a proteggerci da distrazioni e preoccupazioni che non siano quelle relative all’incontro con Gesù. La Chiesa vuole che questo Natale sia pieno di senso e di gioia per ciascuno di noi. Sulla soglia della notte santa ci fa incontrare Giuseppe, un uomo come tanti altri, un carpentiere di un piccolo villaggio della Galilea. Né lui, né il suo villaggio, né la Galilea erano importanti nella società del tempo. Anzi quella zona, per la sua posizione periferica, non godeva di buona fama, tanto più che si presentava poco sicura sul piano della fede. Giuseppe viveva la sua piccola vita di operaio e pensava al suo futuro. Sognava un futuro normale, con una famiglia e un lavoro tutto sommato decoroso. Prese in sposa una ragazza del villaggio, Maria, attendendo tranquillo la realizzazione definitiva del suo sogno. Un giorno, però, questo sogno venne turbato. Maria era rimasta misteriosamente incinta. Cosa era successo? Si poteva parlare (e accusare Maria) di adulterio. Nel giudaismo dell’epoca si imponeva il “ripudio” della donna. Giuseppe, perciò, in quanto marito tradito, avrebbe dovuto ripudiare Maria, con tutte le conseguenze civili e penali che si sarebbero abbattute su di lei che sarebbe apparsa agli occhi di tutti una ragazza adultera, rifiutata ed emarginata non solo dai parenti ma da tutti gli abitanti di Nazareth.
Giuseppe, uomo giusto, decise tuttavia di licenziarla in segreto per non esporla a questa penosa situazione. Sebbene giovane aveva pietà e saggezza. In ogni caso il suo sogno era stato infranto. Non gli restava altro che riflettere su quell’amara esperienza. E possiamo immaginare il suo dramma e il rincorrersi dei pensieri. Ma Dio non lo lasciò solo con i suoi pensieri. Proprio mentre si interrogava amareggiato e forse senza più speranza per il suo futuro, Giuseppe riprese a sognare. “Gli apparve un angelo del Signore”, scrive l’evangelista. Questa volta non era più il piccolo sogno, legato alla semplice vita di carpentiere che lui stesso s’era programmata. Si trattava di un sogno ben più grande: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
È il Vangelo di Natale. Potremmo dire che è il “sogno” del Natale: un bambino salverà il mondo intero dai suoi peccati; un bambino libererà il mondo da tutte le schiavitù. Giuseppe, semplice carpentiere di un piccolo villaggio della periferia dell’Impero, si trova a vivere in un orizzonte nuovo e largo, quello del Natale. Non più il suo piccolo sogno, ma quello grande del Signore, il sogno sconfinato del Vangelo. Giuseppe si destò e fece come l’angelo gli aveva ordinato: prese con sé Maria. Giuseppe, umile carpentiere, oggi sta davanti a noi per esortarci ad ascoltare il Vangelo, ad accogliere il sogno che sta dentro la parola dell’angelo. Giuseppe non è tra gli attori principali del Vangelo. Eppure prese parte alla grandezza e alla gioia di quella notte: prese con sé Maria e il bambino. A ciascuno di noi è chiesto di prendere con sé il Vangelo e di abbandonare l’egocentrismo banale dei propri piccoli sogni e aspirazioni. A Natale si deve sognare in grande. Anche noi, sebbene piccoli e spesso banali, possiamo prendere parte al grande disegno d’amore che Dio ha per gli uomini. Con Giuseppe ci avviciniamo alla santa notte per accogliere il Signore e per camminare con lui lungo le vie degli uomini.
Comunità di Sant’Egidio
Dalla stirpe dei patriarchi e dei re
La figura di Giuseppe è ricca di risonanze bibliche, che affondano nel cuore delle tradizioni di Israele. I patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe) si trovano tutti alle prese con il problema di una paternità difficile: tutti scoprono che il dono della vita proviene unicamente da Dio, e che non ne sono i padroni, ma i custodi; tutti si trovano (e non sempre sono pronti) ad affrontare il nodo della paternità, che non è solo generazione, ma educazione alla vita, alla relazione, alla fraternità. Di fatto, tutte le storie patriarcali sono anche storie di conflitti tra fratelli, in cui il padre risulta defilato, quasi impossibilitato a sciogliere le inevitabili tensioni. Il problema della discendenza si ripropone nella dinastia di Davide, a partire dal suo capostipite. Sappiamo che i figli del re Davide si combattono ferocemente per il trono, causando dolore e sofferenza nel padre, che però non riesce a risolvere il nodo fondamentale dell’eccellenza e della concorrenza: uno solo può essere il re, il più grande di tutti; inevitabilmente a lui tutti sono chiamati a sottomettersi. Si tratta di un carico di responsabilità troppo forte. La prima lettura ci mostra nel re Acaz, antenato di Giuseppe, un condensato di tutte queste difficoltà. In un momento difficile, sia per le difficoltà dinastiche, sia per la presenza dei nemici ai confini del regno, il re è invitato dal profeta a ricercare la volontà di Dio: «Chiedi un segno». Ma il re si sgancia dal progetto divino, accampando un nobile pretesto: «Non voglio tentare il Signore». Il profeta allora annuncia che Dio stesso si assumerà la responsabilità di prendersi cura del suo popolo. Il segno non richiesto è un bambino, fragile segno di speranza, che rimanda alla potenza di Dio. Sapientemente la liturgia mette in relazione e in opposizione Acaz e Giuseppe: entrambi chiamati ad una difficile responsabilità, di fronte alla quale l’uno non solo si tira indietro, ma rifiuta addirittura di indagare e mettersi in ricerca; Giuseppe invece si lascia provocare dalla situazione, cerca il modo giusto per farsi carico di Maria e del bambino, e alla fine lo trova, abbandonandosi al volere di Dio e aprendosi a un progetto imprevisto.
Uomo giusto
La giustizia di Giuseppe consiste proprio nella tensione a farsi carico degli altri: la sua ipotesi iniziale (rimandare Maria in segreto) sembra esulare dalle convenzioni giuridiche. Giuseppe non vuole accusare Maria, ma non sa trovare i termini di una soluzione, e continua a ripensare a queste cose. Solo Dio può rivelargli i contorni dell’autentica giustizia, al di là di ciò che egli da solo può progettare.
Dono della grazia
Potremmo dire, alla luce delle considerazioni precedenti, che il nodo da riscattare per Giuseppe consiste nell’essere l’erede di una stirpe che fino a quel momento ha fallito la missione ricevuta da Dio; e che proprio con Giuseppe avviene la svolta: egli si mostra capace di paternità responsabile, di cura premurosa per coloro che gli sono stati affidati, di umiltà e discrezione nel mettersi a servire. È necessario però soffermarsi a contemplare un elemento importante: qual è il fattore che rende possibile una simile trasformazione? Perché Giuseppe dà compimento a ciò in cui i suoi antenati avevano fallito? La risposta è chiara: la svolta avviene per la presenza di Gesù. Prima ancora di nascere il bambino, già accolto nella fede da Maria, esercita un influsso benefico sul suo popolo (in particolare su Giuseppe), con la sua sola presenza. Maria per prima vive questo dono di grazia; in seconda battuta, con qualche difficoltà in più, lo stesso avviene per Giuseppe. Come Giovanni Battista, Giuseppe appartiene all’Antico Testamento, si colloca nell’Antica Alleanza. Ma il bimbo che egli accoglie gli dona di partecipare anticipatamente del Regno di Dio, della Nuova Alleanza, suscitando il meglio delle sue energie, del suo animo, della sua generosità.
Per gli educatori
Il progetto eccedente di Dio
Giuseppe è chiamato a divenire padre di un figlio che in senso proprio non gli appartiene, ma che gli è donato da Dio. In realtà la sua esperienza è l’esperienza di ogni padre, anche di chi può riconoscere nel figlio il suo sangue. Il figlio resta, nella sua essenza più profonda, dono: non progettato, non programmabile, generato in vista di una libertà che supera le aspettative dei genitori; ogni figlio supera, ridimensiona, rimette in discussione ciò che si prefiguravano i genitori, e in particolar modo il padre.
La tentazione dell’omologazione
Un istinto – o una deriva – della paternità è la tendenza a formare un altro sé: estremamente positiva, nella misura in cui stimola a dare il meglio di se stessi; estremamente pericolosa però nella misura in cui sul figlio si proiettano i propri sogni, le proprie attese, forse anche i propri fallimenti. Giuseppe diventa padre obbedendo al progetto di Dio; e aiuterà a sua volta quel figlio a compiere il progetto divino.
Educare senza possedere
Ogni educatore vive l’esperienza di Giuseppe: essere chiamati, con l’aiuto della grazia di Dio, a contribuire alla formazione di figli e figlie non propri. A mettersi al servizio di persone su cui non si potrà esercitare un potere: si potrà dare un esempio, dare forse anche un’impronta, ma non si potrà mai avere la pretesa di plasmare gli altri a propria immagine. L’avvertenza vale in particolar modo per i formatori degli adulti e delle famiglie: non si potrà mai “fare da padroni” sulla loro fede. Il riferimento alla figura di Giuseppe può dunque aiutare ogni educatore credente a restare al suo posto: saldo nella fede, senza essere invadente, lasciando che le persone trovino un loro solido riferimento in Dio.
Dal sussidio della Cei per il tempo di Avvento Natale 2013
“è ormai tempo di svegliarvi dal sonno”
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Lunedì 23 dicembre 2013
La mano del Signore era con lui
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Lc 1,57-66
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Martedì 24 dicembre 2013
Il Signore ha visitato e redento il suo popolo
In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:
«Benedetto il Signore, Dio d’Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
e ha suscitato per noi un Salvatore potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva detto
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati.
Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace».
Lc 1,67-79
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Mercoledì 25 dicembre 2013
Santo Natale
Tutti i confini della terra vedranno la salvezza
Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.
Is 52,7-10
Ha parlato a noi per mezzo del Figlio
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
Eb 1,1-6
Veniva nel mondo la luce vera
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Gv 1,1-5.9-14
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Giovedì 26 dicembre 2013
Santo Stefano
Signore, non imputare loro questo peccato
In quei giorni, Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo. Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, gli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al Sinedrio. Tutti quelli che sedevano nel Sinedrio, [udendo le sue parole,] erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano. Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio».
Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì.
At 6,8-10.12; 7,54-60
Lo Spirito del Padre vostro parla in voi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà persevereto fino alla fine sarà salvato».
Mt 10,17-22
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Venerdì 27 dicembre 2013
San Giovanni evangelista
Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi
Figlioli miei, quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.
1 Gv 1,1-4
Vide e credette
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Gv 20,2-8
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Sabato 28 dicembre 2013
Santi innocenti
Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna
Figlioli miei, questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.
Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.
1 Gv 1,5-2,2
E’ stato udito un pianto e un lamento grande
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio». Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esatezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa:«Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più».
Mt 2,13-18