Santena – 4 gennaio 2014 – Poteva mancare, a inizio anno, una breve intervista con il viceparroco don Mauro Grosso? No.
Don Mauro Grosso, si potrebbe iniziare la chiacchierata con quelli che ritieni siano alcuni fatti significativi dell’anno appena trascorso…
Mi piace questa domanda come prima. Dobbiamo guardare con speranza a quello che ci circonda. I fatti più significativi di quest’anno sono le coppie che han deciso di costituire una nuova famiglia, nonostante la crisi e le incertezze. I giovani che si sono sposati sono un “fatto” significativo. E lo sono anche i bambini nati: sono lì, pronti a crescere in un mondo che forse ha di meno da dare loro sul piano dei beni materiali, ma che, chissà, potrà condurli ad apprezzare di più ciò che conta davvero e che non si acquista col denaro. Ancora, le persone che riscoprono Dio presente nella loro vita sono un fatto significativo. Chi sa chiedere scusa; chi sopporta una sofferenza è un “fatto” significativo. Chi dà segno di civiltà e buona educazione al volante o come cittadino è un fatto significativo. I fatti significativi sono quelli che cambiano il mondo. E, oggi, per cambiare il mondo servono “fatti” di questo genere.
Che cosa ti chiede la gente quando ti incontra e dialoga con te?
Al prete, la gente chiede di essere ascoltata e accolta così com’è. Mi stupisco sempre quando qualcuno – e sono soprattutto giovani – mi dice: “Don, ma hai così tante cose da fare… Non mi oso neanche a chiederti di parlarti”. E cosa dovrebbe fare, un prete, se non stare con la sua gente, ascoltarla, parlarci, pregare insieme? Allo stesso modo, spesso succede che qualcuno si senta rincuorato su qualcosa su cui sempre si è ritenuto giudicato dalla Chiesa. Perché è venuto, ci siamo confrontati su quel che dice la dottrina cattolica, ha capito che ne aveva un’idea un po’ confusa o distorta… e ne esce liberato. Anche i nostri giovani a volte mi dicono: “Don, ma dovremmo parlare di più di queste cose. La gente non le sa e per questo non le capisce e le critica”.
Quali sono le preoccupazioni che travagliano le persone?
La gente è preoccupata dal futuro: cosa accadrà? Dove andremo a finire? Tutto quanto ruota intorno alle incertezze legate al lavoro dà affanni a moltissimi. La gente sogna meno spese e più soldi in tasca. Il problema è che veniamo da decenni in cui ci siamo abituati troppo bene: le cose giravano e la mentalità “usa e getta” la faceva da padrona. Ora c’è un’inversione seria di tendenza. Sento riaffiorare antichi insegnamenti ricevuti da bambino: “Non sprecare il pane; recupera le cose che si possono ancora utilizzare, non buttarle con noncuranza…”.
Cos’è che angoscia di più?
La solitudine: ho questo chiodo fisso da un po’ di tempo. Siamo martellati da messaggi, sms, mail, social networks… ma siamo soli. O quanto meno ci sentiamo tali. Corriamo, andiamo, facciamo… ma l’altro dov’è, realmente? Ho riascoltato la parola di un poeta piemontese, Domenico Badalin: i vecchi stavano in campagna, poveri in canna, e avvertivano Dio; noi siamo circondati dalle luci delle città e abbiamo tutto… e Dio è morto, o non lo sentiamo. Perché? Perché siamo distratti da tutto il resto! Il problema più significativo della gente in questa nostra società è quello di dare un senso alla vita. Problema sopito, negato, rimosso. Ma questo è IL problema.
Quali sono i disagi più pesanti che percepisci nel prossimo?
Credo che siano questi tre: primo, l’affettività. C’è una grande incapacità di amare, di amare liberamente. Siamo egoisti: l’amore c’è finché dura. E prima di tutto vengo io con quello che serve a me, che provo io. Poi basta, stop, e si cambia. E creiamo schiere di sofferenti: chi lascia, chi è lasciato, i figli. Secondo, il tempo: abbiamo macchine per fare quasi ogni cosa; siamo raggiungibili istantaneamente quasi ovunque; paradossalmente, abbiamo poco lavoro… e sempre ci manca il tempo. Siamo inquieti. Vogliamo tutto, ma un tutto che non riempie. E allora il tempo ci assilla. Per forza, è pieno di niente. Terzo e ultimo: la gente è a disagio, perché trova con fatica qualcuno che prenda sul serio i suoi problemi. Questo è un vero guaio. Bisogna porvi rimedio. Le autorità costituite non possono venire meno alle loro responsabilità. Questo apre le porte alle derive più pericolose per una società: l’autoritarismo e il vuoto di potere.
C’è qualche categoria che in parrocchia non si vede proprio mai?
Direi di no. La frequenza ai sacramenti o la frequentazione di oratorio e parrocchia non hanno una precisa connotazione di “categoria”. Ci sono sempre persone di differenti estrazioni. Anche se, di fatto, l’oratorio è frequentato prevalentemente da un ceto medio borghese. Direi che non c’è una grande presenza di “poveri” e che chi se la passa bene oltre la media va da altre parti. L’oratorio e la parrocchia sono luoghi “feriali” dove si incontrano persone “normali”.
E’ corretto parlare di risveglio spirituale portato dall’arrivo di Papa Francesco?
Senz’altro molte persone ammirano Papa Francesco e ne parlano. Raramente si fa riferimento alla dottrina, al Magistero. È il modo di porsi ad essere apprezzato. Per quanto sperimento io, direi che, almeno per il momento, non c’è un ritorno di frequenza ai sacramenti o alla pratica religiosa, qui a Santena, grazie al nuovo Papa. Forse questo accade più nelle grandi città, dove i praticanti sono meno e magari si notano dei riavvicinamenti. Che sono tuttavia un dono di grazia dello Spirito Santo.
A Santena l’oratorio è un punto di ritrovo e riferimento per la comunità?
Non mi pare che molto sia cambiato in questo anno, rispetto ai precedenti. Permane una situazione singolare: chi è coinvolto nelle attività formative dell’oratorio, poi non lo incontri troppo spesso a Villa Tana o in cortile, quando non c’è qualcosa per il gruppo cui appartiene; invece, sono sempre presenti in oratorio molte persone che tuttavia non sono granché coinvolte nelle proposte formative. Non ho ancora capito perché accada questo. Ma può anche darsi che vada bene così e che sia segno che il buon Dio ha qualcosa da offrire a tutti. Anzi, mi sa che è proprio così…
Che pensa e che può dire don Mauro Grosso dell’amministrazione cittadina?
Non è un ambito molto di mia pertinenza. Credo che se un’amministrazione funziona o meno sia possibile comprenderlo dalla qualità di vita dei cittadini: certo per i servizi che vengono erogati, in particolare quelli alla persona; ma soprattutto nel modo di gestire la cosa pubblica, le relazioni, le motivazioni delle scelte. Un amministratore deve essere un padre o una madre responsabile, attento, oculato, guidato da principi retti. E con un occhio sempre rivolto all’alto e una mano sulla coscienza.
Nel 2013 ti è arrivata qualche richiesta strana che si possa segnalare?
Quando eravamo in viaggio al ritorno dal Cammino di Santiago, quest’estate, alcune delle ragazze presenti mi hanno chiesto quali cose romantiche avessi fatto per la mia fidanzata, quando ero fidanzato prima di entrare in Seminario e di diventare prete… In fondo, il desiderio di essere romantici, di sognare, rivela una tensione spirituale e per il senso della vita. Anche le richieste strane hanno la loro dignità.
Hai in mente un elenco di quelli che a Santena potrebbero sperare di salvarsi perché più o meno compiono il loro dovere?
Certo che sì: tutti quelli che riusciranno a sfuggire al registratore di Filippo Tesio. Hai presente?
Sì. In città non sono poi così tanti.
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La foto è opera di Pasquale Juzzolino, web-reporter
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