Santena – 21 aprile 2014 – L’amministrazione comunale celebra il 25 aprile, Festa della Liberazione. L’appuntamento è per venerdì prossimo, alle ore 10, davanti a palazzo comunale, in piazza Martiri della Libertà, con il ritrovo di autorità e associazioni per la deposizione di una corona d’alloro alla lapide dei caduti.
Alle ore 10,15, è prevista la benedizione della lapide dei caduti da parte del parroco don Nino Olivero. A seguire il discorso del sindaco Ugo Baldi. La cerimonia prosegue nel salone Visconti Venosta, con una proiezione video e la testimonianza di Raffaele Maruffi, presidente Aned, Associazione nazionale ex-deportati del Piemonte, partigiano che, con il nome di battaglia di “Ferruccio”, è stato attivo nella II Divisione Garibaldi che operava in Valle di Lanzo. Quest’anno, in città, le celebrazioni del 25 aprile, Festa della Liberazione, hanno avuto due momenti. Il primo si è svolto sabato 12 e domenica 13 aprile, con l’iniziativa “La scuola al tempo del fascismo”, una mostra con i lavori preparati dalle classi IV elementare del plesso Gozzano e di tutte le classi V dell’Istituto comprensivo cittadino.
Sabato 12 aprile l’incontro al Visconti Venosta è stato aperto da Gianni Gaude, dell’associazione “Le Radici, la memoria” che ha presentato ai ragazzi delle elementari due testimoni della scuola al tempo del fascismo: Caterina Tosco e Dario Gaude che nel corso della mattinata hanno ripetuto ai ragazzi, alle insegnanti, alle autorità e ai santenesi presenti la loro esperienza, già in precedenza raccontata nelle aule scolastiche.
Il sindaco Ugo Baldi, nel suo indirizzo di saluto, rivolto ai ragazzi, ha detto: «Voi siete fortunati perché oggi avete davanti a voi Caterina e Dario che sono memoria storica di quanto successo in città a scuola, al tempo del fascismo. Poter sentire direttamente dalla loro voce come hanno vissuto durante il fascismo deve essere considerata una bella cosa. Caterina e Dario, assieme a Margherita Musso, che oggi non è qui perché non si sente troppo bene, sono venuti nelle vostre classi e si sono improvvisati professori. Con loro avete potuto fare una bella esperienza». Il microfono è poi passato all’assessore Paolo Romano che ha presentato ai ragazzi alcunie riflessioni su quattro parole: politica, democrazia, dittatura e libertà.
La mattinata è proseguita con le testimonianze di Caterina e Dario. «Negli anni 1938, 1939 il maestro ci preparava alla guerra – hanno spiegato –. Quotidianamente ci veniva somministrata molta propaganda. Il maestro, anche se non era vero niente, ci spiegava che l’Italia era una grande potenza». Dario ha riferito: «Io ho frequentato le elementari dal 1936 al 1941. La Cavour era appena stata costruita. Era una scuola bellissima. Noi studenti erano divisi in classi maschili e femminili. In aula si andava da un minimo di 20 alunni fino anche a 40. La scuola iniziava alle 8 e andava avanti sino alle 12 e poi si ritornava, nel pomeriggio. Durante la guerra l’orario era unico, solo al mattino. Noi ragazzi indossavamo un grembiule nero, il colletto bianco e la cravatta blu. Le femmine vestivano un grembiule bianco». Tra i ricordi citati «Le esercitazioni di ginnastica, in piazza, il cosiddetto “sabato fascista”».
Ancora Dario ha ricordato: «I libri non parlavano che del fascio. La guerra era presente in ogni pagina. Tutti i volumi erano stampati dalla Libreria dello Stato. Immagini e testi dei volumi erano conformi e allineati alla dittatura. Le pagine erano piene di immagini di ragazzi con il fucile, in mano, oppure intenti a seminare campi arati».
«Agli insegnanti – hanno spiegato Caterina e Dario – noi studenti dovevamo sempre rivolgersi con il “voi”; il “lei” era stato abolito, con tanto di cartello con una croce di segno rosso, affisso sulla porta delle nostre aule».
«Gli insegnanti non potevano esimersi dal fare propaganda a favore del fascio e del partito fascista perché erano rigidamente controllati. Oltre a verificare il lavoro quotidiano degli insegnanti venivano ispezionati anche i nostri quaderni. Gli insegnanti che non facevano propaganda fascista venivano licenziati – ha spiegato Dario –. In genere nei primi tre anni delle elementari avevamo una maestra. Poi, in quarta e quinta, arrivava un insegnate maschio, con metodi spesso un po’ più rigidi. Il duce veniva sempre fatto rientrare in ogni discorso che si faceva in classe. Ci dicevano sempre che il duce non sbagliava mai…».
«Un’altra indicazione che arrivava dal maestro – aggiunge Dario – era quella che con gli ebrei non si poteva e non si doveva parlare. Ci dicevano che gli ebrei erano una razza inferiore e che dovevano scomparire dalla faccia della terra. Ci spiegavano che noi eravamo di razza ariana, pura. A Santena però di ebrei noi non ne conoscevamo. Una delle cose che ci diceva il maestro è che, a breve, si sarebbero utilizzati solo i numeri romani, mentre quelli arabi sarebbero spariti».
Dario e Caterina hanno ancora proseguito: «Andavamo a scuola con gli zoccoli ai piedi. Al tempo quelli che potevano permettersi di calzare le scarpe erano davvero pochi. Nelle ultime fila dei banchi venivano sistemati i figli dei contadini che abitavano nelle cascine delle borgate. Venivano discriminati perché arrivavano a scuola infangati, oppure avevano odori cattivi perché prima di arrivare a scuola accudivano gli animali o dovevano svolgere lavori in cascina. In pagella questi figli dei contadini avevano voti bassi in condotta o nella cura della persona».
«Un altro aspetto della propaganda durante il periodo fascista – hanno spiegato Dario e Caterina – era l’insegnamento dell’autarchia. Gli inglesi e gli americani avevano bloccato le frontiere e allora le famiglie italiane venivano invitate a provvedere a essere autosufficienti per i consumi di carne e grano come per tutto il resto. A tutte le famiglie veniva distribuito un librettino dove si invitava le famiglie a comprare e allevare conigli in modo da potersi sfamare rispetto al fabbisogno di carne».
«Per poter superare i blocchi occorreva pagare, in oro – hanno spiegato Dario e Caterina –. E allora il regime si è inventato l’operazione “Oro alla Patria”: i nostri genitori hanno dovuto consegnare ai fascisti gli anelli matrimoniali d’oro, ricevendo in cambio anelli di latta».
«A Tetti Giro – ha detto Dario – c’era una postazione antiaerea con una serie di fari per illuminare gli aerei nemici e una mitragliatrice, che però non aveva una gittata sufficiente da arrivare a colpire gli aerei. Nel vicino campo dell’aviazione tra Cambiano e Santena c’era una batteria di cannoni antiaerei un pochino più potente: non tutta la batteria di cannoni era però vera, alcuni cannoni erano finti. La propaganda fascista ci spiegava che queste due postazioni erano potentissime: la realtà invece era un po’ diversa… Quando la postazione di Tetti Giro è stata abbandonata i miei genitori mi hanno mandato a recuperare le brandine di legno per spaccarle e alimentare la stufa e potersi così scaldare. Io avevo appena 13 anni e, più volte, ho percorso la distanza Santena-Gamenario con alle spalle una brandina di legno: una impresa non facile per un ragazzo».
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Per saperne di più su Raffaele Maruffi: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/raffaele-maruffi/
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