Santena – 25 maggio 2014 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 25 al 31 maggio 2014, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 25 maggio 2014
Pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo
In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città. Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
At 8,5-8.14-17
È meglio soffrire operando il bene che facendo il male
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.
1Pt 3,15-18
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gv 14,15-21
Dio che si fida e si affida ai piccoli e ai deboli
In questo tempo, mentre continuiamo a vivere il mistero della Pasqua, la Santa Liturgia ci raccoglie in preghiera perché ci prepariamo, come gli apostoli, a ricevere il dono dello Spirito Santo. Il brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato ci narra di Pietro e Giovanni che scesero in Samaria tra coloro che avevano aderito al Vangelo, per invocare su di essi lo Spirito Santo: “non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo” (At 8,16-17). È la prima testimonianza di quella che noi chiamiamo la “Cresima”. Oggi, la Parola di Dio, come Pietro e Filippo, è scesa in mezzo a noi per preparare il nostro cuore a ricevere questo mirabile dono. Domenica prossima celebreremo l’Ascensione di Gesù al cielo. Da quel giorno i discepoli non vedranno più con i loro occhi quel maestro che avevano seguito, ascoltato, toccato, per tre interi anni. Il Vangelo, continuando la lettura di domenica scorsa, ci riporta alla sera dell’ultima cena, quando Gesù parlò della sua dipartita da loro e li vide subito rattristarsi. Le sue parole subito si vestirono di consolazione e speranza; quegli uomini, che con gran fatica aveva tenuti assieme, erano suoi, gli appartenevano. Non voleva che si disperdessero; tanto meno che si perdessero. Egli stava per “partire”. E non era scontato che avrebbero continuato a stare insieme; e non era affatto pacifico che pur restando insieme avrebbero continuato ad annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra. “Non vi lascerò orfani: verrò da voi”, disse Gesù.
Senza dubbio nei pensieri di Gesù era dominante la preoccupazione per il futuro di quel piccolo gruppo che aveva radunato. Una preoccupazione che aveva fin dall’inizio, ma in quella sera appariva in tutta la sua chiarezza e drammaticità. Da questo sentimento, non privo di tratti drammatici, nascevano le parole che aveva detto all’inizio della cena: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”. Il desiderio di incontrare i discepoli si sostanziava nel voler consegnare loro il suo testamento, la sua eredità, che sarebbe dovuta perpetuarsi nel tempo. Quella cena era il momento alto di questa consegna. Ed ogni Liturgia domenicale fa rivivere anche a noi tale momento. Anzi, in quella cena erano già presenti tutte le sante liturgie che sarebbero seguite in ogni parte della terra e in ogni tempo. Anche quella che stiamo celebrando oggi. Non a caso Gesù, rivolgendosi al Padre prega non solo per quel piccolo gruppo di discepoli “ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola” (Gv 17,20).
C’è un tratto della nostra spiritualità e della nostra pastorale che va più chiaramente recuperato: la preoccupazione per il futuro delle comunità. Per essere discepoli del Signore non basta lasciarsi assorbire dal lavoro quotidiano nella sua immediatezza. Nel presente dobbiamo già coltivare il futuro che desideriamo. È quanto insegna Gesù in quella sera. Egli ha davanti ai suoi occhi un gruppo di poche e fragili persone; li guarda con affetto e sogna l’umanità intera radunata attorno a quella mensa. Certo è davvero ingenuo confidare l’eredità in quelle mani. Ma è l’ingenuità di Dio che si fida e si affida ai piccoli e ai deboli. Gesù dice che non li lascerà soli, come degli orfani abbandonati. Il termine ha forti connotazioni veterotestamentarie, ove l’orfano è il prototipo di colui che è alla mercé dei potenti, colui nei cui confronti si commettono non poche ingiustizie. Gesù non lascerà i suoi indifesi. E annuncia la vicinanza di un “consolatore” (alla lettera un “soccorritore”), che è lo “Spirito di verità”. Il termine “soccorritore”, applicato allo Spirito Santo, sta a significare colui che aiuta in qualunque circostanza, soprattutto in quelle più difficili. Finché è stato con i suoi, Gesù stesso li ha aiutati, istruiti e difesi. “Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione” (Gv 17,12), dice Gesù nella preghiera al Padre. D’ora in poi sarà lo Spirito il loro soccorritore permanente. Egli, dice Gesù, rimarrà con voi per sempre. C’è bisogno dello Spirito di Gesù, perché nel mondo non si trova; è uno Spirito che il mondo né vede né conosce; è estraneo alle logiche di questo mondo, alle ideologie di menzogna, a quei sistemi perversi che opprimono gli uomini e perpetuano la violenza. Ma lo Spirito di Gesù è estraneo anche ai tanti spiriti che posseggono i nostri cuori e i nostri pensieri. Mi riferisco allo spirito di indifferenza, allo spirito dell’amore solo per se stessi, allo spirito di orgoglio, di inimicizia, di invidia, di menzogna, di arroganza. E quanti altri ancora! Non c’è bisogno di ricorrere ad una vetero-demonologia, che poi viene facilmente rimossa dalla nostra razionalità, per parlare di spiriti, e neppure c’è bisogno di credere, a possessioni diaboliche.
Si tratta piuttosto di riconoscere, con maggiore realismo, che di spiriti cattivi ne circolano davvero molti. Ma tali spiriti non sono strani. Essi si vestono di normalità. Le esagerazioni sono un furbesco espediente, per poter vivere tranquilli. In realtà ognuno di noi dovrebbe riconoscere di essere posseduto, e tranquillamente, senza troppo contrastarli, da questi spiriti cattivi. Sono essi che fanno danno, che moltiplicano le violenze, le solitudini, le ostilità, le guerre. Tutte queste cose nascono da cuori intristiti e incattiviti. Non andiamo a esaminare i casi eccezionali. Certo fanno preoccupare, ma sono solo la punta di una realtà ben più vasta. Quel che davvero rende infernale la nostra vita sono questi spiriti di egoismo ordinario che soggiogano i nostri cuori e guidano i nostri comportamenti in maniera distorta. Ecco perché c’è bisogno ancora oggi della Pentecoste. Abbiamo bisogno che lo Spirito del Signore scenda e faccia tremare, in uno spirituale terremoto, le pareti rigide e chiuse del nostro cuore; c’è bisogno che una nuova fiamma si posi sul capo di ciascuno e scuota dalla pigrizia e dalla paura. Mentre siamo all’inizio del terzo millennio ci è chiesto di rivivere, per noi e per il mondo, il miracolo di quella prima Pentecoste che trasformò il cuore e la vita dei discepoli.
Ma da dove inizia il miracolo della Pentecoste? Non è particolarmente complesso. Il miracolo inizia dall’amore per Gesù, dall’amore per il Vangelo. È questo amore la prima fiammella che si posa sul capo dei discepoli e scalda il loro cuore. L’amore per Gesù è perciò l’avvio di ogni esperienza religiosa cristiana. Gesù, nell’ultima cena, rivolto ai discepoli disse loro: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. È la prima volta nel Vangelo che Gesù chiede ai discepoli di amarlo. Sino ad allora aveva chiesto che amassero il Padre, i poveri, i piccoli, che si amassero a vicenda tra loro. Ora, poco prima di morire, chiede che amino lui. Certo vi è una domanda di affetto; ma l’amore per Gesù non termina a lui, si riversa con abbondanza su di noi. Dice Gesù: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Questa fiammella d’amore che lo Spirito depone nel cuore di ognuno di noi è la forza interiore che ci sostiene nel cammino della vita e ci fa crescere ad immagine del Signore Gesù. È l’energia che rigenera il mondo.
Comunità di Sant’Egidio
Che cosa significa amare Dio, amare Gesù?
Domenica scorsa nei discorsi di addio di Gesù abbiamo ascoltato quella sua richiesta chiara e decisiva: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1). Gesù chiede che la stessa fede che i discepoli pongono in Dio la pongano anche in lui: egli è affidabile, in tutta la sua vita si è mostrato tale, sicché merita la stessa fede riposta in Dio. Nel testo del vangelo di oggi, immediatamente successivo a quello di domenica scorsa, Gesù chiede ai discepoli di amarlo, di nutrire un vero amore per lui. Ciò che nello Shema‘ Jisra’el (cf. Dt 6,4-9) viene chiesto al credente: “Amerai il Signore tuo Dio” (Dt 6,5), Gesù ha l’audacia di chiederlo per sé. Ma noi dobbiamo chiederci che cosa significa amare Dio, amare Gesù.
Continua la lettura nel sito www.monasterodibose.it
Voi mi vedrete
Il risorto è peraltro presente nella sua Chiesa, conserva, anzi accresce la sua visibilità per i discepoli: “io vivo, e voi vivrete”. Egli non si manifesta più nella sua accessibilità mondana, confinata ad ambiti relazionali ristretti, ma nella vita che è disponibile per tutti i suoi discepoli, la vita nuova nello Spirito, che “rimane presso di voi e sarà in voi”.
Continua la lettura nel sussidio per il periodo della Quaresima e della Pasqua della Cei “Svuotò se stesso” in www.chiesacattolica.it
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Lunedì 26 maggio 2014
Anche voi date testimonianza
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto».
Gv 15,26-16,4
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Martedì 27 maggio 2014
È bene per voi che io me ne vada
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».
Gv 16,5-11
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Mercoledì 28 maggio 2014
Molte cose ho ancora da dirvi
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Gv 16,12-15
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Giovedì 29 maggio 2014
Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».
Gv 16,16-20
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Venerdì 30 maggio 2014
Nessuno potrà togliervi la vostra gioia
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:_ «In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia._ La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».
Gv 16,20-23
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Sabato 31 maggio 2014
Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore
In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Lc 1,39-56
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