SANTENA – 26 ottobre 2008 – Don Enzo Casetta, viceparroco a Santena dal 1969 al 1975, ha incontrato gli amici di allora in occasione dei suoi quaranta anni di sacerdozio. La festa si è svolta sabato 25 ottobre, con due momenti, la celebrazione della messa e poi, un momento di ritrovo, in oratorio.
Prima dell’inizio della celebrazione delle 18 nella chiesa parrocchiale, Angela Tosco, ha letto questo brano: “Qual è il più grande dei comandamenti?” A questa domanda Gesù risponde “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso” Preghiamo in questa messa perché il Signore ci aiuti a mettere in pratica il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. E’ con piacere che in questa messa diamo il benvenuto a don Enzo che ha voluto ritrovarsi con noi, per ricordare e ringraziare per i 40 anni di sacerdozio, di servizio al vangelo di Gesù e alla Chiesa. Questo momento è per noi occasione di bilancio, ripercorrendo con la memoria le attese e le speranze che ci animavano negli anni dell’adolescenza e della giovinezza in cui don Enzo era il nostro viceparroco”.
Subito dopo il segno della croce è intervenuto don Enzo: “Ecco dico subito una cosa importante, sapete perché, ci tenevo tanto a venire, certo anche per festeggiare i miei 40 anni di messa, ma soprattutto perché avevo voglia di rivedere tutti i miei amici. Rivedere il vostro volto vuol dire per me, in qualche modo, ripensare che sono passati 33 anni da quando ero qui viceparroco a Santena. Dopo un primo anno di servizio nella parrocchia di San Remigio, nel 1969 sono venuto qua e ci sono rimasto fino al 75, come viceparroco. Poi sono stato sei anni a Beinasco. Mi ricordo sempre bene come ho lasciato questa parrocchia. Il venerdì sera c’era il cenacolo all’asilo e io non me la sono sentita di salutare. Sono andato via e quella sera stessa hanno deciso il nuovo viceparroco che era don Tonino. Io ero già partito per andare in seminario. Per strada, mentre andavo a Torino ho pianto come un bambino; ero solo e potevo dare sfogo ai miei sentimenti. Mi spiaceva andare via da Santena. Poi per 22 anni sono rimasto a Bra, in due parrocchie. E, infine, sono cinque anni che sono a San Donato, proprio nel centro di Torino. Se vi devo dire che sono contento di essere prete da 40 anni è poco, perché sono ancora contentissimo di essere prete. E sono contentissimo che anche voi questa sera con me ringraziate il Signore per questo dono che mi ha fatto. Io contraccambio con la mia preghiera veramente di amicizia e di affetto. Con questi sentimenti vogliamo proprio iniziare la nostra celebrazione. Con don Nino abbiamo avuto tante occasioni per incontrarci come amici, come fratelli, anche come sacerdoti. Allora lo ringrazio che mi ha dato l’opportunità di venire questa sera qui con voi. Disponiamoci alla preghiera e all’ascolto attento alla parola di Dio. Chiediamo anche con sincerità e umiltà perdono al Signore dei nostri peccati”.
Di seguito l’omelia di don Enzo.
Ecco trovandomi in una circostanza come questa, verrebbe quasi spontaneo lasciar parlar il cuore, i ricordi, i tanti momenti belli vissuti insieme qui, in sei anni, dal 1969 al 1975. Però ho fatto un’altra scelta; quella di lasciar parlare la parola di Dio e cercare di collegarla con quanto stiamo vivendo adesso. I miei 40 anni, ma tutti noi, ognuno di noi se dovesse venire al microfono può raccontare la sua storia personale, di famiglia. E tutti noi abbiamo tante cose belle da dire, come famiglia, come gruppo, come comunità. Allora parto da quella domanda che lo scriba ha fatto a Gesù. È una domanda un po’ provocatoria. Lui credeva di fare bella figura perché conosceva le sacre scritture. Voleva far vedere che leggeva le sacre scritture. Mi pare che allora ci fossero 613 precetti e comandamenti: Lui chiede “ma ve ne è uno che è più importante degli altri?”. E Gesù gli cita quella frase del Deuteronomio “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, la tua anima, le tue forze, amerai il prossimo tuo come te stesso”. Da questo dipende tutta la nostra vita. Io ho voluto cambiare domanda. Ho sentito all’inizio che Angela diceva che oggi è un po’ l’occasione per fare una verifica. Se io dovessi fare una verifica dei miei 40 anni di sacerdote, se ognuno di noi dovesse fare la verifica della sua vita, c’è una domanda che è fondamentale e su cui nessuno di noi può non rispondere. Qual è la cosa più importante che io in 40 anni di sacerdozio ho interiorizzato? Qual è la cosa in cui ci credo veramente e ho cercato in questi 40 anni di dire agli altri? Qual è la cosa più importante della mia vita di cristiano?
E pensando, ponendomi questa domanda, ho trovato la stessa risposta che ha dato Gesù: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. E ama gli altri come te stesso”. Sono interessanti queste risposte. Allora, ecco, il primo augurio che faccio ad ognuno di voi che è qui in chiesa è questo: Non dimenticate mai nella vostra vita l’amore che Dio ha per voi. Credete all’amore di Dio per voi. In qualunque situazione, personale o di famiglia, vi possiate trovare, ecco io vorrei poter condivider con voi questa convinzione. Non venga mai a spegnersi questa certezza: che Dio ama tutti gli uomini. Tutti gli uomini. E ama ciascuno di noi in particolare. Vorrei che in questo momento ognuno di voi sentisse lo sguardo, il cuore, di questo Dio che parla a te e dice “Guarda che tu per me conti moltissimo. Sei importante; sei talmente importante che io ho dato tutta la mai vita per te”.
A 24 anni sono diventato prete, il 29 giugno 1968; a 23 anni, quando si trattava di decidere se accettavo di diventare prete non è stato semplice, io avevo una paura… una paura folle. Dicevo “Io non ce la faccio, non sono preparato. Sono sempre stato in seminario. Dovrò andare in una comunità. E’ troppo pesante prendere una responsabilità di una comunità. L’ho fatto insieme al nostro carissimo parroco don Giuseppe Lisa, che ricordo con affetto; anche tutti voi ricordate certamente con grande affetto don Lisa che sta pregando con noi e per noi, e per me anche in modo particolare. E mi ricordo che c’è stata un’idea, un’intuizione che ho avuto in un momento travagliato, difficile. Mentre ero in preghiera un’idea ha toccato il mio cuore, Dio ti vuole bene e ti ama. Non ti lascerà mai. Non ti lascerà mai. E questa è la mia esperienza. Ho avuto tante prove nella vita, tante persone care che mi hanno lasciato della mia famiglia; l’ultimo due mesi fa, mio fratello e prima tanti altri. Proprio qui, in questa chiesa, ho accompagnato anche Claudio, mio nipote. In questa chiesa, c’era mio fratello dietro a Claudio; dopo un anno ho accompagnato qui anche lui, il papà di Claudio. Quanti ricordi di bambini, di giovani. Mi ricordo che quando si doveva fare il funerale io non avevo mai il coraggio di fare il funerale. Non me la sentivo. Ero troppo preso da perdite di persone care. Tanti giovani; ho ancora presente, ben presente le vie dove abitavano, il cognome e il nome. Mi ricordo ancora di moltissimi. Perché le persone se entrano nella tua vita non puoi dimenticarle. Non puoi dimenticarle. Allora, in tutte queste esperienze, c’è una cosa che non è mai venuto meno, nonostante le difficoltà, nonostante le potature che il Signore ha permesso nella mia vita. Però devo confessare e riconoscere che Lui mi è sempre stato vicino. E dico questo leggendo la storia del passato, perché il presente mi appartiene adesso mentre il futuro non mi appartiene. Rileggendo la storia del passato, questa idea di Dio che mi accompagna, di Dio che ti vuole bene. Questa è l’idea forza che continua ancora ad aiutarmi e sostenermi nella vita di prete. Ma ognuno di noi, ecco il primo augurio: in qualunque situazione tu ti trovi, non dimenticare mai di credere all’amore di Dio.
C’è un secondo augurio. Le uscite di Gesù sono interessanti. In un altro contesto Gesù dirà “Se non vuoi amare Dio che non vedi, ama il prossimo che vedi”. Io Dio non l’ho mai visto. E credo che nessuno di voi possa dire di averlo visto, perché altrimenti avrei dei dubbi sulla sua salute mentale. Nessuno di noi l’ha mai visto. Ci credo perché Gesù me l’ha rivelato. Gesù, figli di Dio, un giorno ha detto “Se fai fatica ad amare Dio che non vedi impegnati ad amare il prossimo che vedi”.
Allora. Ecco il secondo augurio: Quando c’è l’amore di Dio in noi, cresce la fraternità, cresce la solidarietà, cresce l’attenzione verso gli altri. Ho letto un trafiletto sui giornali riferito alla situazione dell’Ages: ecco, mi sono immedesimato immediatamente in quelle famiglie e nelle situazioni in cui si trovano quelle famiglie dove viene a mancare il lavoro. Io non conosco i particolari, però un cristiano, se ha dentro di sé l’amore di Dio, non può non condividere i problemi degli altri, di chi nella vita fa più fatica E allora l’amore di Dio fa crescere la fraternità. E forse è proprio questo il motivo per cui ci sono tante sofferenze nelle famiglie: è venuto a mancare l’amore. Soltanto l’amore tiene unita una famiglia, una coppia.
Però, notate, Gesù dice “Amatevi come io vi ho amato”. C’è quel come che qualifica il termine amore, perché l’amore lo esperimentiamo e lo desideriamo tutti; tutti facciamo esperienza di amore. Anche chi non crede, anche chi non la pensa come noi cristiani, ama. Però Gesù ci dice qualche cosa di più, dice amatevi come io vi ho amati. Allora essere qui stasera è un’occasione in più per far nascere la fraternità.
Dove è che io ho imparato ad amarvi, perché bisogna imparare ad amare, lo dico sempre ai ragazzi. Lo dicevo oggi a un incontro con i ragazzi delle medie. Ho voluto che sopra un foglio bianco mi scrivessero il nome delle persone che hanno più a cuore. Hanno scritto tutti papà, mamma, nonni, zio, poi qualcuno aveva la ragazza o il ragazzo, qualcun altro gli amici …benissimo. Poi ho detto adesso scrivetemi su un altro foglio quello che fate durante una giornata tipo. Allora hanno riportato: mi alzo, il mattino faccio colazione, vado a scuola, poi pranzo, poi guardo la tv, poi dopo faccio i compiti, poi dopo gioco… Dopo che hanno scritto tutto, ho detto loro che mancavano due parole fondamentali. Non mi avevano scritto due cose fondamentali. Come mai tra le persone che vi stanno a cuore nessuno aveva messo Dio? E nelle azioni della giornata come mai nessuno dei ragazzi ha messo la preghiera. Lo dico con tre parole, l’avete notato che don Nino, dopo il vangelo, ha fatto il gesto con la mano che indica che si porta Gesù nella mente, nella bocca e nel cuore. E un ragazzo, un bambino, un giovane, se vuol bene al Signore lo pensa. Perché quando io voglio bene a qualcuno lo penso, parlo di lui e si sta con lui o con lei. Allora, occorre anche pensarlo, conoscerlo, pregarlo. Ecco, questa è la fraternità che io auguro a tutte le comunità. Quando c’è l’amore di Dio la fraternità cresce e si espande.
E, ancora un ultimo augurio. Educhiamoci sempre – e qui parlo ai grandi – educhiamoci ad amare e educhiamo ad amare. Oggi, dal Papa a tanti altri educatori, dicono che il grosso problema è proprio quello dell’educazione. C’è una emergenza educativa. C’è poco da fare, un papà e una mamma non possono dire che è tutto tranquillo. Mia mamma, che ha avuto dieci figli e ne ha adottati altri quattro, diceva: “Quando i figli sono piccoli, ci sono fastidi piccoli. Quando i figli sono grandi, i fastidi sono grandi”. E chi ha figli di una certa età lo sa cosa vuol dire vedere crescer i figli: ci sono delle difficoltà reali.
Allora, l’augurio che ci possiamo fare reciprocamente è che l’unica strada percorribile per educare è quella di educare ad amare, noi grandi prima di tutto, per aiutare le nuove generazioni ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Amare il prossimo come se stessi.
Sin qui l’omelia di don Enzo.
Al termine della messa, è intervenuto Mauro Sensi che ha letto questo messaggio.
E’ il momento di dire grazie. Grazie lo diciamo tante volte al giorno. Alla fine delle telefonate, delle mail che inviamo per lavoro, ma il grazie, quello vero, che sgorga del cuore è diverso. Si sente che è un sentimento di riconoscenza. Ti ringraziamo don Enzo per aver cercato e voluto questa occasione che ci ha riuniti per strade e vite diverse. Dopo tanti anni siamo qui perché tutti l’abbiamo voluto e siamo contenti di rivederci e ricordare i momenti di allegria e gli impegni di preghiera di allora, dove tu, a quel tempo, giovane viceparroco, eri sempre presente. Ti ringraziamo perché sei stato e sei un amico. A molti di noi hai insegnato a ridere e a pensare che la fede è un grande dono. Ci hai parlato di Cristo e ce l’hai trasmesso in semplicità e amicizia.
E ringraziamo te o Signore perché ci hai accompagnato nella nostra vita, sei stato presente nella gioia e conforto nei momenti di dolore, e sei comunque la garanzia della nostra riuscita di uomini e cristiani. Sostieni tutti noi e le nostre famiglie e non abbandonarci mai.
Auguri don Enzo per i tuoi quaranta anni di sacerdozio, che comunque non dimostri. Sii sempre per noi l’amico, il confidente, la guida spirituale. E continua a esserlo per tutto coloro che incontrerai nel tuo cammino di pastore. Un caloroso abbraccio da tutti noi qui presenti e da tutti quelli che, contattati, avrebbero voluto essere qui con noi, ma problemi di famiglia e di salute, non lo hanno permesso. Grazie don Enzo”.
Poi la festa è continuata in oratorio dove in molti hanno potuto parlare e salutare di persona don Enzo.
Di seguito la lettera con cui don Enzo ha invitato all’incontro i giovani che lavoravano in parrocchia quando era viceparroco a Santena.
Carissimi,
è veramente con grande gioia e profonda commozione, che Vi scrivo queste poche righe per rivolgerVi un invito: Ringraziare con me il Signore per i miei 40 anni di sacerdozio.
Non nascondo che Vi porto ancora tutti nel cuore e desidero tanto rivedere i Vostri volti, perché nel volto di ciascuno rivedo un pezzo della mia storia di prete.
La mia prima esperienza di prete è stata vissuta a Santena, dove sono rimasto per sei anni e mai come oggi essi mi si presentano come dono, come grazia che il Signore ma ha fatto. Ho incontrato degli amici, e, credetemi, per un prete i rapporti sono preziosi e fanno parte a pieno titolo della sua missione.
Mi rammarico sempre di non poterli coltivare.
Sono lieto però di poter dire “grazie”, e questa parola riassume tutte le altre.
Vi aspetto.
Don Enzo
Torino, 20 settembre 2008