SANTENA – 14 aprile 2018 – La Pro-Loco, con l’85° Sagra dell’Asparago promuove la coltivazione, la ristorazione e il turismo di Santena e del Pianalto. Le Sagre, come Venaria e il Museo Egizio, sono componenti essenziali della cultura della Città Metropolitana. Grazie ai Ristoratori Santenesi per la collaborazione con la comunità. La grande fame peggio della grande guerra.
1) Bollettino Asparagi n°3. La qualità dei primi, pochi, germogli è alta. Le basse temperature hanno tenuto la produzione ai minimi. Da oggi, con il sole, la raccolta sempre scarsa è in lenta crescita e se il tempo tiene aumenterà. La freschezza e il sapore degli asparagi sono favoriti dalla coltivazione con metodi innovativi e tradizionali. Il prezzo in cascina è inferiore a quello praticato dalla grande distribuzione e su certi banchi dei mercati di Torino. Prezzi contenuti nonostante gli aumenti dei costi per le aziende che, oltre a coprire le spese di investimento e di impianto di nuove asparagiaie, devono far fronte alla crescita dei costi dei nuovi semi, delle zampe, delle piantine, dei concimi e del sempre più prezioso letame. (I prezzi vanno dai 3-4,5 euro per l’asparagina, ai 5-7 euro il kg per gli asparagi).
2) Carabinieri x Tutela Agroalimentare. Come previsto dal Decreto Legislativo 12 dicembre 2017, n. 228, il 12 febbraio è nato il Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare. Un Reparto Speciale dell’Arma, con 5 sedi –Torino, Parma, Roma, Salerno e Messina- per la difesa e tutela dei diritti del consumatore. Lo comanda il Colonnello Luigi Cortellessa ed è composto da specialisti nelle complesse e molteplici norme che regolano la produzione agricola e alimentare.
3) Cibo tempo zero. Gli ortaggi sani e buoni devono essere consumati freschi, cioè prima possibile. Se la filosofia “chilometro zero” rappresenta la consapevolezza dell’impatto ecologico dei trasporti, la filosofia del “tempo zero” è garanzia di qualità e di freschezza. L’agricoltura e il gusto, negli anni, stanno evolvendo verso colture che hanno attenzione sia alla produttività e al lavoro, sia alla sostenibilità dal punto di vista della salubrità e dell’ambiente.
4) Grazie Associazione Ristoratori Santenesi. Il successo della presentazione al Circolo dei Lettori di Torino, della campagna 2018 dell’Asparago di Santena e delle Terre del Pianalto, è dovuto soprattutto alla disponibilità, al lavoro e alla professionalità dei Ristoratori ( Giovanna de “l’Antico Pioppo”, Elena de “La Locanda del Cont” e Vittorio de “Le Vecchie Credenze”) che da tre anni collaborano per promuovere e valorizzare Santena, il Pianalto e i prodotti della loro terra.
5) Tutti a TeleCupole. L’85° Sagra dell’Asparago (11-20 maggio) è una delle più importanti manifestazioni culturali della Città Metropolitana e del Piemonte. Una festa in cui tradizioni, storia, sapere e lavoro si rappresentano ai visitatori, ai buongustai, ai turisti, ai clienti di ristoranti, trattorie, cascine, alberghi, B&B, negozi, esercizi pubblici. A TeleCupole, martedì, 8 maggio, la Pro-Loco presenta il programma della Sagra nel corso della trasmissione “Ballando Le Cupole”. Le iscrizioni si fanno dal giornalaio di Piazza Martiri della Libertà. Costo 30 euro +5 euro per chi vuole viaggiare in compagnia sul pullman.
6) Scuola: allievi-plessi? Secondo la Fondazione Agnelli, tra soli dieci anni in Italia, la popolazione in età scolare tra i 3 anni e i 18 (dalla scuola dell’infanzia, alla secondaria di II grado) passerà da 9 a 8 milioni. Un milione significa anche meno plessi, meno classi, meno insegnanti. “Nessun altro Paese europeo avrà un trend così declinante”. Le ragioni della contrazione demografica vanno ricercate, nella diminuzione del numero delle madri potenziali e del loro tasso di fecondità, in particolare delle donne straniere. Conta anche la riduzione dei flussi migratori. Il saldo migratorio con l’estero è sceso dal 7,5 x mille nel 2007, al 3 x mille nel 2017. A meno che fame, sete e conflitti non invertano la tendenza.
7) 200 anni fa la Fame Mondiale. 100 anni fa la prima Guerra Mondiale,
Nel Chierese-Carmagnolese, come altrove, cresceva l’idea dello Stato sociale. I Benso con Michele, il padre di Camillo Cavour, erano consapevoli che bisognava cambiare la società. Come fare, nessuno lo sapeva. Dopo Napoleone la grande fame fu occasione di riflessione per tutti, soprattutto per la plebaglia. Matteo Morra ricordava di quanto avevano tirato la cinghia. Adesso che erano passati sotto i signori marchesi di Barolo stavano meglio. Prima le cascine erano state magre, adesso si stava meglio. Comprese che la memoria era una cosa importante e che, soprattutto, contava come la si conservava e trasmetteva.
La storia, si sa, la scrivono solo alcune categorie dei vincitori. Quelle che stanno dalla parte del potere. Di solito alleate con preti compiacenti e bigotti, con gendarmi cointeressati, con burocrati cedevoli. Per questo, pur sapendo che la fame e le malattie sono peggio della guerra, è prevalsa sempre la lettura militaresca che faceva tanto comodo a lor signori. Se un domani si dovesse scrivere la storia delle persone normali, di quelli che hanno lavorato per far star bene tutta la società, si scoprirebbe quanto essa sia diversa da quella ufficiale. Stesso discorso vale per i morti delle guerre, dove il popolo è sempre messo in secondo piano rispetto alle letture di comodo delle categorie prevalenti o più furbe. Per rendersene conto basta osservare le lapidi dei caduti delle guerre risorgimentali del Municipio di Torino. Lì si vede come in poco tempo si passò dall’elenco alfabetico egualitario dei morti a quello dell’ordine gerarchico e nobiliare. Così è ormai da molto tempo. Adesso nel centenario della fine della Guerra del 15-18 forse un po’ di giustizia sarà fatta. Sia verso la truppa mandata al massacro, sia verso le famiglie dei soldati e le donne sfibrate dalle fatiche e dalla miseria. Finalmente qualcuno, andando oltre alla retorica, ricorderà che ai lutti e alle assenze subentrò, nell’inverno del 1918, l’epidemia di Spagnola, causando più morti della Guerra Mondiale. Dell’epidemia si è persa la memoria, eppure c’erano in ballo le condizioni igieniche e sanitarie di milioni di persone. Stessa cosa succede ancora basta guardare alla maggioranza di poveri emigranti che arrivano sulle nostre coste. Così pure si è dimenticata la catastrofe di duecento anni fa, causata da un elemento oggi di attualità: il cambiamento climatico. Quello conseguente all’esplosione del vulcano Tambora, in Indonesia, tra l’aprile e il settembre 1815. Un’eruzione che ebbe sulla società dei primi dell’Ottocento un effetto micidiale per i morti e i patimenti, ben superiori di una guerra tra Stati. L’eruzione portò malattie e carestie segnando la vita, la storia e la cultura di tutte le famiglie del Chierese-Carmagnolese, di Langhe Monferrato e Roero e dell’Europa.
Le cronache del tempo ricordano che nella primavera successiva tutto l’emisfero settentrionale risentì dell’abbassamento delle temperature. Ma il dramma non fu solo durante la gelida e piovosa estate 1816. Il peggio doveva ancora venire. In autunno e in inverno non piovve. A quel punto si fecero le processioni per l’invocazione, ma servirono a niente. Dal novembre al maggio 1817, tranne una piccola nevicata il 17 gennaio, non cadde acqua. Persino la rugiada era sparita. Il dramma fu enorme. Non c’erano scorte di cibo perché tutto il poco rimasto, era stato consumato. Le bestie morivano di fame e di sete. Le semine erano in pericolo. L’orzo, il grano e il mais ingiallivano nei campi. Perfino gli asparagi pativano, nonostante siano ortaggi a basso consumo d’acqua. Le mamme non avevano il latte. Morivano i bambini e i vecchi e poi toccò agli adulti. Scene che noi abbiamo rivisto, in tempi recenti, in Africa. Dapprima l’autorità ecclesiastica, d’accordo con quella civile, organizzò, in ogni chiesa e santuario una campagna di digiuni e processioni penitenziali. Poi le preghiere non bastarono più. I furti in campagna aumentavano. Di giorno in giorno cresceva il numero di mendicanti che elemosinavano vagando come zombi per le campagne. Quando non ci fu più niente da rubare, non restò che la disperazione. Le autorità civili insieme a quelle religiose dovettero intervenire distribuendo cibo ai poveri. Poi finalmente il 24-25 maggio 1817, venne il miracolo. Piovve. Ovviamente dal 26 maggio si organizzarono penitenze, messe e processioni per ringraziare soprattutto la Vergine Maria. Non è un caso se nell’Ottocento ci fu una ripresa della figura della madre di Dio, con l’aumento delle sue apparizioni e della sua devozione. Con la pioggia venne la ripresa alimentare. Di questa vicenda parla il Teol. Gaspare Bosio nel suo “Santena e suoi dintorni”, ricordando come i Benso e il Parroco Pezzana intervennero per sfamare intere famiglie santenesi rovinate dal clima e dalla carestia. Più dettagliata è la descrizione di Carlo Smeriglio in “Santena: da villaggio a città”, pag. 230, dove ricorda l’intervento del Consiglio Comunale di Chieri, per la distribuzione giornaliera di minestra per i poveri e per la realizzazione di lavori pubblici fatti per creare lavoro e reddito. Una visione keynesiana ante litteram cui contribuì anche Michele Benso, facendo eseguire lavori nel Castello e abbattendo vecchie case per realizzare la nuova piazza al fianco della Chiesa parrocchiale. Miracolosa fu la minestra dei poveri. Un salvavita, rimasto nelle memorie dei Santenesi. Un lontano ricordo di zuppa, rimasto nella memoria di chi ha frequentato il vecchio asilo infantile gestito dalle suore di Sant’Anna, la mitica Pappa Riso (riso, patate, latte, pane e sale). Nulla di nuovo sotto il sole. La minestra era il cibo normale per la maggioranza della popolazione. Ben conosciuta nel Medioevo e anche prima e dopo. Nell’Ottocento, in concomitanza con l’aumento della popolazione, la zuppa fu rilanciata a livello internazionale da uno Statunitense, trapiantato in Europa, Sir Benjamin Thompson, conte di Rumford, (1753-1814) la cui vedova, dalla quale si era separato nel 1809, fu incontrata da Cavour nel 1833. Rumford, è uno dei padri del lavoro, del benessere e della gastronomia sociale. Un precursore del welfare, noto per essere l’inventore della zuppa dei poveri, una minestra a basso costo, nutriente in grado di sfamare chi era scarso di mezzi. Un pastone che divenne così di moda, che faceva così tendenza da influenzare anche la cucina dei ricchi. Al di là delle mode di chi ha la puzza sotto il naso, resta il fatto che la zuppa dei poveri divenne un segno del lento mutare dei tempi e dei rimescolamenti sociali di cui sono stati protagonisti i nostri antenati di qualche generazione fa.
Gino Anchisi, da Santena, la città di Camillo Cavour, 14 aprile 2018
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