Santena,  Aiutiamoli a casa loro? Non come in Ruanda Burundi. Puntata 139

SANTENA – 29 settembre 2018 – Santena e l’Europa: né buonismi, né cattivismi, ci vuole un Piano Marshall per l’Africa. Terra Madre per prima ha posto il problema di come aiutarli a commercializzare e coltivare i prodotti della loro agricoltura. Ma chi sono Loro e chi siamo Noi. Santena ha una lunga tradizione, laica e cristiana, nell’aiuto ai Paesi poveri.

1) Aiutiamoli a casa loro. Bella frase. Apparentemente mette tutti d’accordo. Di facile effetto, buona per persone di buona volontà e pure per babbei e furbastri. Facile da imparare. Da notare lo sguardo illuminato di chi oggi la pronuncia. Slogan falsamente nuovo, bensì antico. Profumo di mitiche missioni e di missionari, di un cristianesimo preoccupato più dell’anima che dei corpi, tristemente fallito nel 1994 in Ruanda e Burundi. In 100 giorni, da 800.000 a 1.000.000 di morti, assassinati nello scontro etnico e interetnico, di fede cristiana, tra la maggioranza Hutu e la minoranza Tutsi.

 2) Sulla testa dei Santenesi. Basta alzare gli occhi al cielo. In Chiesa, sopra l’altare maggiore, sull’arco, è raffigurata quella certa idea di Chiesa preconciliare, ancora intrisa di pregiudizi  razziali e di buonismo-cattivismo missionario. Si è in piena era fascista. Il dipinto è contestuale alla firma dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929. Lo si vede nella raffigurazione sulla sinistra di chi guarda. L’Italia è inginocchiata accanto ai simboli papali, sotto la Chiesa, rappresentata dalla Basilica di San Pietro, lo sguardo va oltre, in alto a Cristo Re. In basso, a destra e sinistra, ci sono Loro, gli altri, quelli delle terre lontane. Neri e Indigeni del Mondo “arretrato” che attendono, a casa loro, di essere salvati da quella chiesa missionaria ricca di eroiche e sante figure, responsabile di subalternità coloniale, ma capace, dopo la guerra, con Il Concilio Vaticano II, di risollevarsi e indirizzare le pigre coscienze italiane e occidentali alle politiche di sostegno e sviluppo dei paesi poveri e sfruttati.

 3) Stiano a casa loro. Terra Madre. Mattino presto. Prossimità dei bidoni della raccolta dei rifiuti. Ragazzo nero stravaccato sulla sedia. Il venditore bianco alza la voce. Devi darti un tono, altrimenti nessuno ti prenderà. Il ragazzo, ubbidiente, si sistema per bene. Il bianco s’accorge d’essere osservato. Spiega. Dio ci ha messi sulla terra, ciascuno al suo posto, a seconda del colore. I bianchi da una parte, neri e gialli dall’altra. Sorride, si fa confidenziale. Ha lavorato nel pubblico impiego, fino alla pensione. Si è sempre occupato di commercio, anche quando lavorava in ufficio. Tutti devono essere felici a casa loro. Lo dice Lui, immigrato dalla Puglia, quando, qui nessuno li voleva. Anzi, si corregge, qui tutti li volevano i meridionali, ma solo per sfruttarli. Se ne va con la sua tranquilla certezza.

4) Migrazione inarrestabile? Inutile fare gli struzzi. Il fenomeno non è temporaneo, durerà chissà quanti anni, né il deserto, né la violenza, né il Mediterraneo, né la morte li fermeranno. Loro continueranno a partire almeno finché qui ci saranno condizioni di vita decisamente più favorevoli. Un euro vale dieci, venti volte quello che vale da loro. Mentre la loro vita vale meno della nostra.

5) Sappiamo tutto. Sappiamo pure come e cosa fare. Eppure finché non manderemo risorse, tecnologie, volontari, collaboratori e imprese europee a costruire piccole e grandi centrali fotovoltaiche il flusso migratorio sarà inarrestabile. Da una parte, infatti, ci sono le guerre tribali e religiose, dall’altra, in specie sulla povertà, incide la mancanza di energia. Madre energia che allevia la fatica e aiuta la persona. Così è stato nel passato cavouriano per i nostri antenati, così è per loro adesso. A differenza del nostro passato in Africa si dovrebbe produrre energia non da petrolio ma da fonti alternative pulite. In particolare dal fotovoltaico sul quale L’Arsenale della Pace di Torino lavora per sollevare l’acqua dai pozzi, per fare frigoriferi a basso consumo destinati alla conservazione di cibo e di medicine. Nel frattempo c’è bisogno di strade, trattori, aziende agricole e di un mercato che paghi i prodotti agricoli al prezzo giusto.

6) “Far seguire le parole ai fatti”. Per arginare le migrazioni africane ci vuole almeno un miliardo di euro all’anno da mandare a casa loro, per sostenere gli investimenti. Fecero così gli Usa dopo la seconda guerra mondiale, con il Piano Marshall. Allora però era una questione interrazziale, fra bianchi emigranti, impegnati nella lotta al male rappresentato dal socialismo dell’Unione Sovietica e del blocco orientale. Una cosa è evidente. L’Italia da sola non può fare un piano “Marshall”. Lo deve fare l’Europa e lo deve fare in fretta. Perché cinesi e indiani stanno comprando interi territori africani. Perché la portano trattori, tecnologie e costruiscono infrastrutture. Per noi piccoli europei la competizione si fa davvero seria. In gioco c’è il nostro futuro.

7) Quanto siamo disposti a dare? Nel 1992 noi Italiani mandavamo lo 0,34 del Pil ai Paesi in via di sviluppo. Al G8 di Genova del 2001, di cui si ricorda solo la vicenda delle violenze poliziesche sui manifestanti, risultò che l’Italia era all’ultimo posto tra i paesi occidentali negli aiuti ai paesi poveri con solo lo 0,13%, quando l’impegno era per lo 0,70%. Adesso dobbiamo decidere quanto siamo disposti ad investire, perché di investimento sul futuro si tratta.

Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 29 settembre 2018.

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