Una pausa per lo spirito – proposte di riflessioni dal 22 al 28 novembre 2009

SANTENA – 22 novembre 2009 – Di seguito alcune proposte di riflessione per i giornid al 22 al 28 novembre 2009.

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Domenica 22 novembre 2009

Io sono l’Alfa e l’Omèga

Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen!

Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Ap 1,5-8

Insegnaci ad essere forti e liberi nell’amore

Con questa domenica si chiude l’anno liturgico. Tra sette giorni la Liturgia della Chiesa ci inviterà ad iniziare un nuovo tempo di preghiera e di memorie sante. Non si tratta semplicemente di un ciclo temporale che si aggiunge ad altri calendari (scolastico, solare, giudiziario, amministrativo o altro). Il tempo liturgico è diverso da quello ordinario. È un tempo nel quale non siamo noi o le vicende di questo mondo a decidere le scadenze, i ritmi e gli obiettivi. Nello scorrere dell’anno liturgico siamo guidati. Ognuno di noi viene come sottratto alla normalità delle sue abitudini e delle sue preoccupazioni per essere inserito in un altro ritmo temporale: quello di Gesù. Sono le pagine del Vangelo che scandiscono il “nostro” tempo. Ognuno è quindi come trasportato dentro la storia stessa di Gesù, divenendo in certo modo suo contemporaneo. Da Natale a Pasqua e poi sino a Pentecoste siamo chiamati a stargli accanto quando nasce, quando predica e guarisce, quando soffre e muore, e quando risorge e ascende al cielo e di lì manda lo Spirito Santo sulla Chiesa che viene inviata a predicare sino ai confini del mondo.
L’anno liturgico, insomma, è Cristo stesso (annus est Christus diceva l’antica saggezza cristiana) che ci viene donato. In questo singolare “anno” non si tratta di commemorare un assente, ricordando magari con affetto i momenti salienti della sua vita. È una realtà ben più profonda: la memoria liturgica rende presente in mezzo a noi il mistero che celebriamo. In tal modo, ogni domenica siamo condotti per mano dalla santa Liturgia accanto a Gesù, a seguirlo passo dopo passo in tutto il suo itinerario verso il Padre che sta nei cieli. Gli “anni liturgici” continuano a ripetersi perché non termina mai la nostra condizione di discepoli, ossia di seguaci di Gesù. Abbiamo bisogno di riascoltare e di riprendere a seguire il Signore. La Parola di Dio che ci viene annunciata parla al nostro cuore e ci conduce vicino al Signore, unico pastore buono della nostra vita.
Oggi contempliamo Cristo, re dell’universo. Davvero il suo regno non è di questo mondo! Il Vangelo, infatti, ci parla di un uomo debolissimo, spogliato di tutto, povero, la cui vita dipende interamente da altri. Come si può pensare che un uomo in quelle condizioni potesse essere re di qualcosa? Non ha alcun aspetto di potenza. Nel nostro mondo dove quello che conta è ciò che appare, come possiamo affidarci ad un uomo così, che mostra esattamente il contrario della forza? Perfino i passanti possono deriderlo, tanto che – condannato a morte – gli buttano in faccia il suo fallimento gridandogli: “Salva te stesso!”. Noi i forti li cerchiamo, spesso li corteggiamo, facilmente sappiamo tutto di loro (e magari non sappiamo nulla del nostro vicino!) perché pensiamo ci diano protezione, successo, sicurezza, riconoscimento, benessere. Ecco perché uno come Gesù non può certo soddisfarci! Anzi, lo sfuggiamo, perché ci ricorda come siamo per davvero. Come può lui essere re? Di cosa? Al massimo può suscitarci pietà. Eppure quel prigioniero dice a Pilato: “Tu lo dici; io sono re!. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo!”. Quell’uomo, sconfitto da piccoli re pieni di arroganza e violenza e da una folla che gli urla in faccia la propria sentenza di sentenza, proprio lui reclama di essere re. I re di questo mondo vogliono essere serviti, non servire. Vogliono avere e non donare. Vogliono imporre, parlare sopra gli altri, non stare a sentire nessuno. Vogliono stare bene loro, ma non sanno fare stare bene gli altri. Vogliono avere ragione e non cambiare mai; comandare e non obbedire a nessuno. Pongono condizioni e si irritano se non sono osservate. Eliminano chi sentono come un nemico, evitano chi non piace. I re di questo mondo vogliono essere amati, ma non si sforzano di umiliarsi a farlo per davvero. Sono soli perché finiscono per avere paura dell’altro. Si circondano di complici e di sudditi, ma non hanno amici. Anche Gesù venne tentato di diventare un re così. Il male lo voleva legare al potere del consumo, delle cose, degli interessi da anteporre a tutto, anche alla Parola di Dio. “Tutte queste cose ti darò se, prostrandoti, mi adorerai”, gli aveva detto il diavolo nel deserto. Gesù non è comprato dal denaro, non scende a compromessi. Si rifiuta di servire i regni di questo mondo. “Il mio regno non è di questo mondo”, dice a Pilato. Gesù è re perché serve ed ama. Re, perché solo l’amore comanda per davvero ed è il vero potere sul creato, l’unico che può capirlo e non sciuparlo. È re perché figlio. È re non sugli altri o contro gli altri, ma insieme e per gli altri. È re perché niente può resistere all’amore. Per questo lui è per davvero l’alfa e l’oméga, la prima e l’ultima lettera, come è scritto nel libro dell’Apocalisse.
La sua forza, l’unica che conta e che resta, è quella dell’amore. Per questo è il più forte di tutti i forti della terra, per questo è re dell’universo. Chiede anche a noi di confidare nella forza del volere bene. Ci chiede di non svuotarla di sentimenti, di intelligenza, di cuore. Chiede di non rinunciare per paura, di non pensare che è troppo poco. Gesù, debole, mite ed umile di cuore, è re perché tutti noi, che siamo deboli e bisognosi, che siamo poca cosa, possiamo vincere con lui il male, nemico della vita e dell’amore. Anche noi possiamo essere suoi. Il suo regno passa per questo mondo, per i nostri cuori. Chi non appartiene a lui finisce per essere schiavo della logica dei re o della seduzione del potere e della spada. È bello e dolce appartenere a lui, perché nel suo regno di amore tutto è nostro, senza limiti. “Ama e fa ciò che vuoi”. Il potere dell’amore, come dice il profeta Daniele, dura in eterno, non tramonta mai. I tanti re di questo mondo finiscono, passano, come passa la loro forza. Si rivelano ignobili, caduchi, volgari, pieni di ossessioni. Il regno di Dio non finisce. Signore, re dell’universo, vieni presto ad asciugare le lacrime degli uomini, a liberare dal male, dall’odio, dalla violenza, dalla guerra. Venga presto il tuo regno di pace e di giustizia. Insegnaci ad appartenere a te, a non avere paura, ad essere forti e liberi nell’amore, deboli come siamo, deboli come te, Signore, che debole sei re ed hai vinto il male. A te gloria e potenza, nei secoli dei secoli. Amen.

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Lunedì 23 novembre 2009

Prendi il peso di chi cammina con te

Ad Dominum enim nondum pervenimus, sed proximum nobiscum habemus. Porta ergo eum, cum quo ambulas, ut ad eum pervenias, cum quo manere desideras.

Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Prendi su di te il peso di chi cammina con te, e arriverai a colui con il quale vuoi rimanere.
(In Io. Ev. tr. 17, 9) Sant’Agostino, dottore della Chiesa

Da Caritas in veritate 59

La cooperazione allo sviluppo non deve riguardare la sola dimensione economica; essa deve diventare una grande occasione di incontro culturale e umano. Se i soggetti della cooperazione dei Paesi economicamente sviluppati non tengono conto, come talvolta avviene, della propria ed altrui identità culturale fatta di valori umani, non possono instaurare alcun dialogo profondo con i cittadini dei Paesi poveri. Se questi ultimi, a loro volta, si aprono indifferentemente e senza discernimento a ogni proposta culturale, non sono in condizione di assumere la responsabilità del loro autentico sviluppo.

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Martedì 24 novembre 2009

Dammi il supremo conforto dell’amore

Dammi il supremo conforto dell’amore, questa è la mia preghiera.

Il conforto che mi permetterà di parlare, agire, soffrire secondo la tua volontà,

e di abbandonare ogni cosa per non essere lasciato a me stesso.

Fortificami nei pericoli, onorami con la tua sofferenza

aiutami a percorrere i cammini difficili del sacrificio quotidiano.

Dammi la suprema confidenza dell’amore, questa è la mia preghiera.

La confidenza nella vita che sfida la morte,

che cambia la debolezza in forza, la sconfitta in vittoria.

Innalzami, perché la mia dignità, accettando l’offesa, disdegni di renderla.
Rabindranath Tagore.

Da Caritas in veritate 59

Le società tecnologicamente avanzate non devono confondere il proprio sviluppo tecnologico con una presunta superiorità culturale, ma devono riscoprire in se stesse virtù talvolta dimenticate, che le hanno fatte fiorire lungo la storia. Le società in crescita devono rimanere fedeli a quanto di veramente umano c’è nelle loro tradizioni, evitando di sovrapporvi automaticamente i meccanismi della civiltà tecnologica globalizzata. In tutte le culture ci sono singolari e molteplici convergenze etiche, espressione della medesima natura umana, voluta dal Creatore, e che la sapienza etica dell’umanità chiama legge naturale. Una tale legge morale universale è saldo fondamento di ogni dialogo culturale, religioso e politico e consente al multiforme pluralismo delle varie culture di non staccarsi dalla comune ricerca del vero, del bene e di Dio. L’adesione a quella legge scritta nei cuori, pertanto, è il presupposto di ogni costruttiva collaborazione sociale.

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Mercoledì 25 novembre 2009

Avrete occasione di dare testimonianza

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome.Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Lc 21,12-19

Da Caritas in veritate 61

Una solidarietà più ampia a livello internazionale si esprime innanzitutto nel continuare a promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un maggiore accesso all’educazione, la quale, d’altro canto, è condizione essenziale per l’efficacia della stessa cooperazione internazionale. Con il termine “educazione” non ci si riferisce solo all’istruzione o alla formazione al lavoro, entrambe cause importanti di sviluppo, ma alla formazione completa della persona.   

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Giovedì 26 novembre 2009

Ascoltare la preghiera delle rane

Una sera fratel Bruno era assorto in preghiera, quando fu disturbato dal gracidare di una rana. Per quanti sforzi facesse, non gli riuscì di ignorare quel rumore e allora si sporse dalla finestra e urlò: “Silenzio! Sto pregando”. Poiché egli era un santo, tutti obbedirono al suo ordine immediatamente. Ogni creatura vivente si zittì in modo da creare il silenzio necessario alla preghiera. Ma ecco che Bruno fu di nuovo interrotto, questa volta da una voce dentro di lui che diceva: “Forse a Dio il gracidare di quella rana era altrettanto gradito dei salmi che tu stai recitando”. “Che cosa possono trovare di bello le «orecchie» di Dio nel verso di una rana?”, replicò Bruno sprezzante. Ma la voce proseguì: “Perché mai allora Dio avrebbe inventato un simile suono?”. Bruno decise di scoprirlo da sé. Si sporse dalla finestra e ordinò: “Canta!” e l’aria fu piena del gracidare ritmato della rana, con l’accompagnamento di tutte le raganelle del vicinato. Bruno si pose in ascolto con attenzione e subito non udì più alcun frastuono, ma scoprì che, se smetteva di irritarsi, quelle voci in realtà rendevano più ricco il silenzio della notte. Grazie a quella scoperta, il cuore di Bruno entrò in armonia con l’universo intero e, per la prima volta nella sua vita, egli capì che cosa significa pregare.
A. De Mello

Da Caritas in veritate 62

Un altro aspetto meritevole di attenzione, trattando dello sviluppo umano integrale, è il fenomeno delle migrazioni. È fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano.

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Venerdì 27 novembre 2009

Dove trovare la felicità

Carità… Amore… difficile trovare parole così “abusate”. Eppure, sono parole semplicissime. L’Amore, infatti, è l’Essere stesso di Dio. Dio è Amore, nonostante tutto quello che sembra negare questo Amore. Noi siamo amati, nonostante tutto. Noi siamo capaci di amare o di non amare. Queste tre realtà sono sempre state la radice e la guida della mia vita di credente.

Quando, nelle nostre comunità, qualche amico mi chiede “Chi è Dio?” sono solito rispondere con un ricordo dei primi anni di Emmaus.

Una sera un comunitario col quale avevo lavorato tutta la giornata per finire di costruire una casa a una famiglia che dormiva in strada, mi disse: “Padre, sono stanco morto, ma felice”. Ricordo che commentai quella confessione di un amico, che nulla sapeva di religione, dicendogli: “Non dimenticare mai questa gioia. Tu stesso la ritieni inspiegabile. Eppure ne avverti tutta l’intensità incomparabile. Questa gioia, è Dio stesso. Attraverso questa giornata che con fatica hai vissuto per gli altri, per rendere un servizio ai più poveri, Dio si manifesta e ti fa gustare la Sua gioia. Anche se, magari non sai nulla di Lui, attraverso un gesto di carità e di amore, tu incontri, tu conosci Dio”.
Abbè Pierre

Da Caritas in veritate 62

Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione.

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Sabato 28 novembre 2009

State attenti a voi stessi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
Lc 21,34-36

Da Caritas in veritate 61

Un esempio della rilevanza di questo problema ci è offerto dal fenomeno del turismo internazionale, che può costituire un notevole fattore di sviluppo economico e di crescita culturale, ma che può trasformarsi anche in occasione di sfruttamento e di degrado morale. La situazione attuale offre singolari opportunità perché gli aspetti economici dello sviluppo, ossia i flussi di denaro e la nascita in sede locale di esperienze imprenditoriali significative, arrivino a combinarsi con quelli culturali, primo fra tutti l’aspetto educativo. In molti casi questo avviene, ma in tanti altri il turismo internazionale è evento diseducativo sia per il turista sia per le popolazioni locali. Queste ultime spesso sono poste di fronte a comportamenti immorali, o addirittura perversi, come nel caso del turismo cosiddetto sessuale, al quale sono sacrificati tanti esseri umani, perfino in giovane età. È doloroso constatare che ciò si svolge spesso con l’avallo dei governi locali, con il silenzio di quelli da cui provengono i turisti e con la complicità di tanti operatori del settore. Anche quando non si giunge a tanto, il turismo internazionale, non poche volte, è vissuto in modo consumistico ed edonistico, come evasione e con modalità organizzative tipiche dei Paesi di provenienza, così da non favorire un vero incontro tra persone e culture.

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