SANTENA – 2 novembre 2008 – Di seguito l’omelia del viceparroco, don Mauro Grosso, presentata alla comunità in occasione della commemorazione dei defunti.
Letture: Giobbe 19,1.23-27°; Salmi 27; Romani 5,5-11; Giovanni 6,37-40.
OMELIA
“Commemorazione di tutti i fedeli defunti”, “giorno dei morti”… Ricordare i morti ci fa inevitabilmente fare i conti con la morte. Ma che rapporto abbiamo oggigiorno con la morte? La fisionomia di questo rapporto è delineata da alcune caratteristiche:
– anzitutto, dalla superstizione: si parla della morte e si fanno gli scongiuri;
– in secondo luogo, si nota una sempre crescente ospedalizzazione: la morte è una questione da specialisti, da camici bianchi, da terapia antalgica, da trattare nel modo più asettico possibile;
– in terzo luogo, notiamo una potente privatizzazione della morte.
Nel linguaggio, essa è un evento di cui si preferisce non parlare, la morte non si chiama per nome: si preferisce dire di qualcuno che «è mancato», «se ne è andato»…
Nelle relazioni, c’è un po’ di timore a farsi prossimi a chi ha a che fare con la morte: sia nei confronti del morente, sia della sua famiglia, il rispetto del dolore si fa lontananza, mentre da parte del morente e della sua famiglia stessi il vivere questo dolore si fa chiusura in se stessi;
-infine, la morte è connotata da materialismo: essa è la fine di tutto, è un addio per sempre…
Ecco, questa fisionomia della morte, questo rapporto con la morte non è cristiano. La nostra fede ci dice qualcosa di ben diverso circa la morte. Guardiamo alle letture che ci sono offerte dalla liturgia di oggi:
– il sapiente Giobbe parla della morte, nella sua crudezza e dolorosità («questa mia pelle strappata via», «senza la mia carne»), come del vedere Dio: la morte è apertura a Dio, è la porta varcata la quale si incontra Dio faccia a faccia;
– il salmista invita a non avere paura di nulla, se si sta radicati nel Signore, neppure della morte («Il Signore è mia difesa: di chi avrò paura?»); a cercare come condizione di vita definitiva proprio lo stare con Dio per sempre, che verrà solo dopo la morte («Una cosa sola io cerco: abitare nella casa del Signore»), ma che si costruisce passo per passo già durante la vita («Il tuo volto, Signore, io cerco»);
– san Paolo, nella lettera ai Romani, ci ricorda che la morte di Gesù completa l’assunzione da parte di Dio di tutta la natura umana, con il suo farsi uomo in Gesù: se Gesù non fosse morto, non sarebbe stato Dio fatto uomo, ma Dio fatto “super-uomo”! Nello stesso tempo, però, la morte di Gesù apre alla risurrezione, alla vita per sempre con Dio, realizzata appunto in Cristo e promessa a noi tutti;
– l’evangelista Giovanni mette sulla bocca di Gesù la precisa volontà del Padre: la resurrezione nell’ultimo giorno.
Ma cos’è la resurrezione? È la pelle e la carne che ritornano insieme, noi che riprendiamo la vita per sempre, senza malattie, sofferenze, imperfezioni… senza fine. Non è una storiella, non è un mito: è una promessa certa che Dio ci ha fatto in Cristo risorto; è una colonna della nostra fede cristiana.
E per chi è la risurrezione? È per chi crede in Gesù e in vari modi ci arriva – per mezzo dei piani misteriosi di Dio che vuole la salvezza di tutti –, per chi incontra lui, aderisce a lui con tutto il cuore… Dunque, la risurrezione non sarà un evento solitario, ma comunitario; così la morte: non è un evento di chiusura, ma di apertura, agli altri, in Dio.
Superstizione, ospedalizzazione, privatizzazione, materialismo non tratteggiano il volto cristiano della morte. Esso è restituito invece dalla fede che è fiducia in Dio, in ciò che egli stesso ci ha promesso in Cristo (anziché dalla superstizione); è restituito dalla fede come realtà che tocca tutta la vita perché la apre a qualcosa di più grande della vita stessa (anziché dall’ospedalizzazione, che appiattisce sul dato biologico); il volto cristiano della morte è restituito dalla compagnia di Dio, dalla comunione dei santi (anziché dalla privatizzazione); infine, è restituito dalla resurrezione, dall’uomo “integrale”, non solo corpo che si disfa, ma persona destinata ad una vita oltre la morte (anziché dalla visione materialista).
La morte, per un cristiano, non è la fine, ma un nuovo inizio. Ecco perché possiamo fare festa per i nostri morti, ricordarli con gioia. Pensiamoci, oggi, a sangue freddo, in questa occasione in cui non siamo coinvolti emotivamente per la morte di un amico, di un parente. Questo ci servirà da “allenamento” per lo spirito: proprio come l’allenamento per il corpo, che non si fa quando si sta male, ma si fa prima, per irrobustirci e dotarci di risorse per affrontare le piccole e grandi sfide.
Santena, 2 novembre 2008
don Mauro Grosso
d.mauro.grosso@gmail.com