Santena, il Pianalto e l’energia dell’acqua. Puntata 301

SANTENA – 19 febbraio 2022 – Cibo sano, clima e massima attenzione all’acqua. Ci vorrebbe un Contratto di Fiume. Il ciclo integrato dell’acqua e il sistema sociale e agricolo del Chierese-Carmagnolese sono una cosa sola.

Sottobacino torrente Banna

La fortuna del Pianalto nell’Ottocento dipese dall’emersione di nuove categorie sociali portatrici di idee e interessi ispirati all’Illuminismo. Si trattava di un’aristocrazia di proprietari terrieri, appartenenti a una nobiltà proiettata verso gli investimenti innovativi. Di grandi e medi possidenti interessati alla produttività dell’attività agricola. Di piccoli proprietari, artigiani, operai, professionisti e impiegati attratti dall’affermazione del lavoro e contrari alle rendite di posizione occupate dalla vecchia nobiltà, dal clero e dai militari.

Banna, immagine di archivio, dicembre 2015

Altre grandi opportunità del territorio sono stati il clima padano e l’utilizzo razionale dell’acqua. Nel Bacino della Banna – il più grande della provincia di Torino in sponda destra del Po – la gestione del ciclo integrato dell’acqua nel corso dei millenni e nell’Ottocento ha creato le condizioni per dare la prima forma a un distretto del cibo del Chierese-Carmagnolese che oggi è tornato di attualità. Perno della rete, oggi come allora, è il fiume Banna, insieme al suo parallelo Tepice. La Banna scorre da Buttigliera d’Asti, Villanova, Poirino, Santena, Cambiano, Trofarello, Moncalieri fino al Po. Lungo il suo percorso raccoglie le acque che cadono per precipitazioni nel grande ventaglio delle colline del Monferrato e del Roero che corre dal Rio Sauglio alla Gora del Mulino Nuovo di Carmagnola.  Queste acque servivano per irrigare i campi coltivati a ortaggi, canapa, foraggio, granaglie e legumi. Le piantagioni di pioppi, gelsi, alberi da frutta e salici. I boschi e per abbeverare il bestiame. Nel bacino idrografico della Banna numerosi erano i mulini tra Carmagnola, Villastellone, Poirino, Chieri, Santena, Cambiano e Trofarello. Oltre a macinare mais, grano, segale l’acqua serviva come forza motrice per il tessile, la meccanica, la siderurgia, il cartario, la conceria delle pelli, la pesta della canapa, la metallurgia, la molitura, la lavorazione del legno e del ferro, il trasporto di merci. Un reticolo impressionante, faticosamente costruito nei secoli. Efficiente. Oggi con segni evidenti di manutenzione e di ripristino.

Acqua, da queste parti, ha sempre significato fortuna, benessere, pulizia e lavoro. Per questo era raccolta, conservata e convogliata con mille attenzioni e accorgimenti. Grondaie, scoli, canaletti, fossi finivano in cisterne e pozzi per il consumo famigliare. Il resto era raccolto in peschiere e invasi naturali o artificiali che servivano durante i periodi di siccità. I nostri antenati per lavarsi, se ricchi, si servivano di brocche e bacili, riempiti dai servi. I poveri, cioè la stragrande maggioranza, usavano con parsimonia il pesante secchio e ogni tanto, secondo la stagione, la mezza botte in cui tutta la famiglia a turno faceva il “bagno”. L’acqua, scaldata sul fuoco, era aggiunta man mano che saliva il numero degli utilizzatori. La stessa mezza botte serviva anche per fare il bucato con la cenere e poi per il risciacquo col sapone. L’acqua era rispettata. Come il pane, non si sprecava. Buttarla via era più grave di un peccato. Il ciclo integrato iniziava dalla pioggia e finiva col versamento dell’acqua sporca nei solchi dell’orto. La più fetida finiva nell’angolo del cortile dove c’era il luogo più importante per la vita delle famiglie. Nelle letamaie, oltre agli scarti alimentari, finivano le urine e le feci degli animali e delle persone. Ma il ciclo dell’acqua non finiva lì. La neve aveva un valore aggiunto che giungeva fino al freddo prodotto dal ghiaccio, tenuto in serbo e lavorato nelle ghiacciaie, per essere impiegato nella conservazione alimentare e nel lenire le febbri.

Banna, immagine di archivio, ottobre 2015

Persone e animali, nel corso dei secoli, si erano integrati nell’ambiente dando vita a un sistema che è durato fino a metà del Novecento. Certo non erano tutte rose e fiori, anzi. L’acqua era molto pericolosa.  Trasportava malattie e morte, causate dalle condizioni igieniche e da carestie portate da siccità e da alluvioni. Le febbri tifoidee erano tra le principali cause di morte. Colpa della vicinanza dei pozzi alle letamaie. La malaria con i suoi eccessi di febbre uccideva chi lavorava in zone di acqua stagnante.

Nel Dopoguerra nel Pianalto, nel Chierese e nel Carmagnolese si è registrato un incremento dell’attività agricola e del comparto dell’orticoltura. Un comparto delicato e strategico per il benessere delle comunità e delle persone, con alto impiego di manodopera e di capitale.

Da ciò, oggi, ha preso spunto l’idea di dare forma al Distretto del Cibo come mezzo per sostenere l’attività delle aziende agricole e dell’agroindustriale. Uno strumento che deve prestare attenzione al paesaggio, all’ambiente, al cambiamento climatico, alla coltivazione di cibo fresco e sano, alla salute dei consumatori. Nonché al ciclo integrato dell’acqua tramite un Contratto  di Fiume che ben calza al Bacino della Banna.     

Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 19 febbraio 2022