SANTENA – 14 maggio 2023 – La Patria italiana ed europea vista da Santena, all’apertura della 90° sagra dell’asparago. La “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera” dà senso e compiutezza al 25 aprile, al 1° Maggio, al 2 giugno e al 4 novembre. Collaborare e fare rete per curare il malessere e gli egocentrismi personali e localistici.
Quest’anno è diverso. Giorgia Meloni, la prima donna Presidente del Consiglio dei Ministri – dirigente di Alleanza Nazionale e segretario di Fratelli d’Italia – il 25 aprile ha sparigliato le carte imponendo alla politica italiana un cambio di visioni. La sua lettera al Corriere della Sera “… il frutto fondamentale del 25 aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato (calpestato) e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana…” ha colto nel segno. Le parti moderate e radicali del centro-sinistra e del centro-destra sono state prese in contropiede. La sfida sull’applicazione dei principi costituzionali è stata lanciata. Adesso la politica italiana dovrà misurarsi con il significato di patria, nazionalismo, ambientalismo, europeismo e sul bipolarismo Cina-USA. Con il corporativismo, l’egualitarismo, la produttività del lavoro e del sistema sociale. Sulla nutrizione, sul benessere, sulla crescita della popolazione mondiale e dei movimenti di popoli tra Stati e Continenti. Sul cambiamento del clima, sulla distribuzione della ricchezza a livello europeo e mondiale e sulla forma di governo dello Stato.
D’ora in poi non solo il 25 aprile, ma anche il 1° maggio, il 2 giugno e il 4 novembre -con adesioni e identificazioni in calo – non saranno più gli stessi. La divisione, che vedeva la Liberazione e la Festa dei Lavoratori appannaggio del centro-sinistra, mentre il 2 giugno e il 4 novembre erano prerogativa del centro-destra, perde consistenza. Si avverte il bisogno di un elemento unificante. Questo è il momento per affermare il valore primario della Festa del 17 marzo nella quale tutti gli Italiani possono identificarsi perché tutto e tutti unisce. Perché dà senso e coerenza alle altre festività laiche. Perché è senza dubbio la festività civile più importante in quanto elemento identificativo basato sull’appartenenza all’Occidente, sostanziato nell’apporto propulsivo dato dall’Italia alla costruzione dell’Unione Europea. Perché il 17 marzo sia tale è però necessario rimuovere quel macigno che pesa su troppi Italiani dalle Alpi alla Sicilia, alla Sardegna. Quel singolare malessere che tanti provano quando si parla dell’Italia Unita. Quel disagio strisciante, sedimentato nelle piccole patrie del Paese e in letture parziali della storia unitaria. Una specie di cortocircuito che genera un’estraneità dai fatti. Che non permette di riconoscere l’evidenza storica di quanto l’Unificazione sia stata un bene per gli Italiani.
A 162 anni di distanza l’acrimonia verso l’Unità d’Italia – sulla quale speculano non solo filo borbonici o altri movimenti minoritari separatisti ma anche forze partitiche di destra, centro o sinistra, persino istituzioni elettive, sia al Nord che al Centro e al Sud – è senza senso. Ciò non significa non tener conto degli errori, delle sottovalutazioni e dei soprusi fatti prima, durante e dopo. Dall’Ottocento fino ai giorni nostri. Non è accettabile però affermare che fu tutto uno sbaglio. Che era meglio l’Italia divisa in dieci staterelli. Non è logico prolungare un gioco deresponsabilizzante e vittimistico, figlio di mentalità che gettano la colpa del malessere sugli altri. Su chi è venuto prima. Sulle generazioni che ci hanno preceduti. Un esercizio che non vuole riconoscere nei nostri antenati risorgimentali i veri padri della Patria. Che hanno fatto la fortuna delle generazioni successive lasciando una ricca eredità a quelle cresciute dopo la seconda Guerra mondiale. Perché, fatte tutte le debite considerazioni, va comunque riconosciuto che chi di più e chi di meno, chi prima e chi dopo, chi ricco e chi povero –dal Sud al Nord, dall’Est all’Ovest– tutti gli Italiani ci hanno guadagnato.
Per dare forza alle feste laiche e per arrivare alla pacificazione degli animi rispetto alla Patria comune bisogna quindi lavorare sul valore della conoscenza della storia e dei contesti sociali. Al riguardo il crescente analfabetismo risorgimentale certo non aiuta. Il suo incremento –conseguente all’emarginazione dai programmi scolastici dello studio del processo che portò nel Mediterraneo e in Europa alla costituzione di uno stato nazionale unitario, frutto dei nuovi equilibri mondiali– è preoccupante sia a livello culturale che politico.
Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 14 maggio 2023